Il caso
Bari, il giudice nega la scarcerazione: detenuto malato in sciopero della fame
Giuseppe Franco, affiliato al clan Strisciuglio, ha problemi cardiaci: «Ho paura di morire»
BARI - È in sciopero dalla fame dal 15 dicembre nella sua cella del carcere di Teramo dove è recluso, perché le sue condizioni di salute richiederebbero - secondo lui, la sua famiglia e diversi medici che lo hanno visitato - una assistenza sanitaria che una struttura penitenziaria non può offrirgli.
Il detenuto in protesta è il 36enne Giuseppe Franco, affiliato al clan Strisciuglio di Bari e coinvolto negli ultimi anni in diversi blitz per reati di mafia. È in carcere da settembre 2020 e negli ultimi mesi la patologia cardiaca di cui soffre si sarebbe aggravata. Per questo i suoi difensori hanno chiesto a tutti i giudici dinanzi ai quali pendono i procedimenti penali che lo riguardano di concedergli di lasciare il carcere e continuare a curarsi a casa, agli arresti domiciliari. Due giudici, gup del Tribunale di Bari, hanno detto sì, mentre il terzo, la Corte di Appello, ha rigettato qualche giorno fa la richiesta di sostituzione della misura cautelare. Franco, cioè, deve restare in carcere, perché «in relazione al giudizio sulla compatibilità dello stato di salute con il regime detentivo, attualmente il ristretto è ancora gestibile all’interno dell’istituto, mediante somministrazione di apposita terapia farmacologica».
A luglio la gup Anna Perrelli gli aveva concesso i domiciliari con braccialetto elettronico e solo qualche giorno prima del no dei giudici della Corte di Appello anche la gup Antonella Cafagna aveva ritenuto di poter concedere a Franco di tornare a casa, sulla base soprattutto della relazione trasmessa dalla casa circondariale che descriveva «un quadro clinico complessivo grave», addirittura peggiorato in poche settimane, nonostante «il detenuto aveva ripreso ad assumere regolarmente la terapia farmacologica necessaria a diminuire il rischio cardiovascolare, in monitoraggio costante con ecg». Secondo la giudice, quindi, «a prescindere alla idoneità a fondare un giudizio di assoluta incompatibilità delle condizioni di salute con la detenzione in carcere», gli arresti domiciliari sono «sufficienti a contemperare le esigenze di difesa sociale con la tutela della salute e della dignità umana».
Si attendeva la decisione della Corte, che è arrivata il 15 dicembre: no alla scarcerazione. I giudici hanno disposto una nuova perizia medico-legale, eseguita il 6 dicembre dal dottor Claudio Volpe. «Eventuali tentativi di ripristino del normale ritmo cardiaco richiederebbero ulteriori procedure ablative transcatetere non eseguibili in alcuna delle case circondariali italiane» ha concluso il perito, evidenziando però che «l’opzione terapeutica farmacologica, mirata al solo controllo della frequenza cardiaca, invece, potrebbe essere attuata anche in carcere, ma sarebbe certamente meglio praticabile al domicilio; non foss’altro che per il fatto di escludere quell’atteggiamento oppositivo, ai limiti dell’autolesionismo, che il paziente ha già tenuto e che ha minacciato di assumere anche in futuro». Infatti nei mesi scorsi Franco ha deciso di rifiutare i farmaci e questo potrebbe aver contribuito al peggioramento delle sue condizioni. Ed è proprio questo ad aver convinto i giudici a rigettare la richiesta di revoca della misura, «ritenuto che l’atteggiamento oppositivo alla opzione farmacologica è una scelta dell’imputato» e comunque «in caso di necessità di intervento chirurgico, potrà sempre essere autorizzato”».
Franco ha paura di morire in cella e i suoi genitori sperano ancora in un ripensamento dei giudici baresi, ai quali i difensori del detenuto hanno rinnovato l’istanza. «Non si comprende - dicono - come mai in una situazione così grave che compromette la vita, la salute e la possibilità di cura, il detenuto viene privato di ogni dignità e diritto costituzionalmente garantito». Franco, in cella, ha iniziato una sciopero della fame per protesta, come lo stesso pregiudicato ha spiegato alla Corte di Appello in una lettera manoscritta trasmessa loro qualche giorno fa.