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«Io cameriera, sfruttata per 14 ore al giorno a 100 euro di paga», lo sfogo di una barese

 
Rita Schena

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Rita Schena

«Io cameriera, sfruttata per 14 ore al giorno a 100 euro di paga», lo sfogo di una barese

«Nessuno ci difende da questi abusi. Siamo una categoria per la quale nessuno spreca anche solo una parola. E siamo un esercito»

Mercoledì 01 Giugno 2022, 13:42

«Fare il cameriere di sala è un lavoro duro. E raccontarlo è una storia triste. Perché in realtà è un bel mestiere, ma qui da noi si è trattati come schiavi. Poi si leggono gli appelli degli imprenditori turistici che dicono di non trovare personale: ci credo, pagati 100 euro al giorno per 14 ore di lavoro continuato. Chi regge ritmi così?».

Antonella non è una ragazzina, è una donna con professionalità ed esperienza, ha lavorato all'estero parecchi anni, nel nord Italia, poi è rientrata a Bari per problemi familiari. «Pensavo che con l'impulso turistico che il territorio ha avuto in questi anni, un po' di cose fossero cambiate. Il rispetto dei contratti, ad esempio, e soprattutto una maggiore considerazione per il nostro lavoro di camerieri di sala. Mi sono resa conto che non è così. Siamo trasparenti per tutti: per il datore di lavoro che ci spreme oltre ogni limite, per i clienti che non si rendono conto che già rivolgersi a noi con gentilezza vale tanto».

Con l'avvio della stagione estiva la cronica mancanza di lavoratori stagionali alimenta tutta una serie di polemiche, se i giovani sono sfaticati o se è il reddito di cittadinanza che ha drogato il mercato del lavoro.

«La verità è che in questi ultimi anni la qualità del nostro lavoro è ulteriormente peggiorata – spiega Antonella -. I giovani vogliono lavorare, sì, ma con delle prospettive. Se invece si prospetta solo lavoro nero, duro, magari vengono un giorno, due, ma poi preferiscono andar via. E altrove le garanzie ci sono. Io ho lavorato tanto tempo fuori dalla Puglia con buoni contratti, per le otto ore stabilite, con tfr pagato, riposi riconosciuti o pagati e a fine stagione anche un bonus, se avevo svolto bene il mio incarico. E sto parlando di mille euro, non di una “mancetta”. Invece qui la realtà è tremenda. Volete sapere ad esempio che tipo di lavoro c'è dietro l'organizzazione di un matrimonio in masseria? Uno di quegli eventi per cui la Puglia e Bari sono famosi nel mondo? Dietro ci siamo noi camerieri che arriviamo almeno 5 ore prima che tutto inizi. Carichiamo e scarichiamo il materiale, tutto di braccia, perché tra prati e chianche è impossibile usare i carrelli. Poi attrezziamo i tavoli e prepariamo tutto. Ci vogliono ore e con temperature che in estate arrivano oltre i 30 gradi. Già dopo aver preparato tutto sei una pezza, ma sei a meno della metà del tuo lavoro. Il tempo di una doccia e indossiamo la divisa. Noi siamo fieri della nostra divisa da cameriere, ma è chiaro che con ritmi lavorativi così è durissimo. Inizia il ricevimento e tu devi sorridere e servire, sempre in piedi per ore. E quando l'ultimo invitato va via, ecco che il lavoro continua: dobbiamo smontare e ripulire tutto».

E' chiaro che ritmi del genere non si possono replicare tutti i giorni. «E questo è un motivo per cui il contratto è a giornate. Dopo aver lavorato in questa maniera hai bisogno almeno di una giornata di riposo per riprenderti. Io ho la schiena rovinata, i carichi di lavoro mi hanno provocato una serie di ernie. E tanti altri miei colleghi hanno le ginocchia compromesse, per non parlare della spalla. Quando nel gruppo di lavoro accogliamo qualche giovane appena uscito dalle scuole alberghiere, li vedi che spalancano gli occhi dallo stupore. Noi con la nostra esperienza riusciamo a tirare, ma i ragazzi no. Alcuni si mettono a piangere, non reggono certi carichi di lavoro, altri semplicemente spariscono e non tornano più».

Quello che Antonella lamenta è l'assoluta solitudine. «Nessuno ci difende da questi abusi. Siamo una categoria per la quale nessuno spreca una parola. Eppure siamo un esercito. Noi camerieri siamo quelli che fanno girare il turismo sul territorio, ma come dicevo è come fossimo trasparenti. Nessuno si fa carico delle violazioni contrattuali che siamo costretti a subire. Ti dicono: “denuncia”. Bravi tutti a parlare. Peccato che poi non lavoreresti più».

Il gatto che si morde la coda. E alla fine a rimanere schiacciati sono i lavoratori, gli ultimi della catena.

«Se parliamo di eventi o di un matrimonio, in pratica con il pagamento di un coperto ecco che si copre lo stipendio di uno di noi. Fatevi un calcolo di quanto guadagna l'imprenditore sul nostro lavoro. E non voglio parlare di come vengono trattate le lavapiatti. A volte tutti noi, nonostante la stanchezza, ci mettiamo e cerchiamo di aiutare lavoratrici che, non solo sono trasparenti, ma trattate peggio degli schiavi. Ecco perché la nostra è una storia triste, come altro la si vuole definire?».

Lavoro durissimo, a nero, ritmi insostenibili. «Dopo tanti anni di lavoro posso dirlo senza timore di essere smentita: qui al Sud non ho mai trovato datori di lavoro corretti, mai. Al Nord e all'estero sempre. E mi chiedo: perché qui ci si deve comportare così? E a Bari si è pagati molto meglio di Brindisi o Taranto. Per un giorno di lavoro qui si viene pagati 100 euro, nella altre province la metà. Quindi succede che ti trovi a lavorare con colleghi che si fanno 50-100 chilometri all'andata e altrettanti al ritorno. Dopo una giornata di lavoro come quella che ho descritto».

«Qui serve che qualcuno si svegli – conclude Antonella in una sorta di accorato appello -. La nostra sofferenza chi la raccoglie? Chi la vede? Poi leggo dei tanti annunci di chi cerca camerieri e non li trova. E si parla contro la non volontà dei giovani, il reddito di cittadinanza. No, non è vero. La verità è che noi siamo schiavi e chi può scappa via da un lavoro così».

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