L'inchiesta
«Pop-Bari fallita già nel 2018, ma un parere fu cambiato»
I verbali di Luigi Jacobini: 6 mesi prima del commissariamento la società di revisione bocciò il bilancio. Qualcuno però intervenne..
La Banca Popolare di Bari è stata commissariata il 13 dicembre 2019, con un salvataggio che (finora) è costato alle casse pubbliche non meno di 2 miliardi di euro. Ma per almeno gli ultimi sei mesi potrebbe essere stata tenuta in vita artificialmente, attraverso un «intervento» che ha portato la società di revisione a cambiare il proprio parere sulla continuità aziendale. L’episodio fa parte degli accertamenti svolti dalla Procura di Bari nell’ambito delle indagini sul crac della banca, ed emerge da uno degli interrogatori di Luigi Jacobini. Figlio di Marco, fratello di Gianluca, anche lui manager dell’istituto di cui è stato anche vice direttore e direttore finanziario, ma in posizione critica rispetto ai parenti. Nell’ottobre scorso la sua posizione è stata archiviata dopo aver riempito almeno quattro lunghi verbali tra il marzo 2019 e il giugno scorso. Dichiarazioni che adesso potrebbero essere usate a processo come prova nei confronti degli altri imputati.
A giugno 2021 Luigi Jacobini ha confermato al procuratore di Bari, Roberto Rossi, e ai pm Savina Toscani e Federico Perrone Capano la storia della lettera sulla continuity aziendale che gli inquirenti mostrano di conoscere già. Premessa. Il bilancio 2018 è stato approvato il 21 luglio 2019. La relazione finale della società di revisione Price è stata depositata il 5 luglio. Fonti indipendenti hanno confermato alla «Gazzetta» che «alcuni giorni prima» la società di revisione aveva preparato un parere negativo che, nella sostanza, equivale a un preavviso di fallimento. Parere che però poi fu cambiato. Ecco il racconto di quello che accadde nelle parole di Luigi Jacobini.
«Una certa sera, con un consiglio in corso, veniamo chiamati il dottor Longo, il dottore Circelli ed io dal ragionier Monachino, direttore generale, sentiamo per telefono l’ingegnere De Bustis, e Aprico (il partner della società di revisione, ndr) consegna una lettera in cui la Price comunicava la non continuity aziendale». Il manager conferma di averla letta con i propri occhi («L’abbiamo vista tutti. Quindi la lettera c’è, ed e stata data»). E che in banca ci fu il panico. «A quel punto sembrava non piu di stare in una banca, ma in un ring, nel senso che il dottor Longo (presidente del collegio dei revisori, anche lui archiviato, ndr) esce veramente fuori di testa e dice ad Aprico: “Non è il modo di fare, perché se tu volevi fare una roba del genere, ce lo avresti dovuto dire per tempo”».
Il problema non era da poco. «La lettera - racconta Luigi Jacobini - indica che la banca, nell’approvazione di bilancio, dice che la Price non si sarebbe potuta esprimere perché non c’erano temi di continuity aziendale. Avrebbe significato che la Banca d’Italia (...) due giorni dopo ti avrebbe dovuto commissariare».
Ma torniamo alla riunione del cda. «Si fanno le dieci di sera. Monachino a questo punto prende la lettera e sale dal dottore De Varti a consegnarla materialmente per dire: “II problema è questo”. II dottore De Varti dice: “Fermi tutti. Adesso parlo io con Roma”. Noi veniamo mandati a casa, quindi dice: “Voi andatevene”. E incominciano delle riunioni - questo è un riferito dal ragionier Monachino - fra la Banca d’Italia, e quindi il dottore De Varti e il dottor Aprico, presenti, diciamo, nella riunione, nell’incontro al sesto piano, e i vertici di Price e di Banca d’Italia non meglio qualificati. Non ho mai saputo che cosa... Chi e che...». Fatto sta che «fanno questa riunione. La mattina dopo alle undici ci viene comunicato che la Price aveva cambiato giudizio. (...) E quindi aveva espresso un giudizio per cui c’era continuity aziendale. Evidentemente è successo nella notte qualche cosa che (...). Il giorno dopo il dottore De Varti chiama il ragionier Monachino, non so se chiama anche Longo, ma chiama sicuramente il ragionier Monachino, dicendo che c’era sta... la Price, diciamo, avrebbe... ...aveva... avrebbe aggiornato la lettera. Arriva Aprico e consegna la lettera, la lettera nuova, che poi è quella che è andata in bilancio».
Altre fonti a conoscenza della vicenda confermano l’episodio ma raccontano che tra la prima e la seconda lettera passò circa una settimana. Il punto però resta. Con il parere negativo, ricorda Luigi Jacobini, il bilancio «avrebbe potuto essere approvato, però i soci avrebbero dovuto prendere atto che non c’era la continuity operativa, e quindi poi la vicenda sarebbe stata della Banca d’Italia, che avrebbe dovuto valutare che cosa fare. Ciò la banca non poteva fare che andare in assemblea e fare approvare il bilancio, come è successo al Monte dei Paschi quest’anno, senza la continuity operativa».
Dal lungo racconto di Luigi Jacobini emerge, come detto, anche il ritratto di una famiglia spaccata. Il padre Marco, patron dell’istituto, aveva scelto l’altro figlio Gianluca come suo successore. «lo - ha raccontato Luigi - ho sempre cercato di tenere, per quanto possibile, i rapporti personali al di fuori dei rapporti professionali, nel senso che, come regola mia, entravo in casa e smettevo di parlare di tematiche di banca, perché sennò era una roba da impazzire, prima di sposarmi e dopo sposato. Allora, la differenza nasce da una visione completamente diversa del modo di fare banca. Loro la vedevano in una maniera e io la vedevo in un’altra maniera».