BARI - «Ai tempi della pandemia mi sembra alquanto pericoloso per pazienti già fragili dover accedere in due strutture sanitarie diverse per ritirare un farmaco indispensabile».
Disorganizzazione. In una sola parola si inquadra il disagio di Anna (nome di fantasia), 65 anni, paziente oncologica da tre anni, stretta nella necessità di reperire una volta al mese un farmaco salvavita e obbligata nel fare la spola tra due ospedali.
Fino a marzo scorso tutto correva senza intoppi sulla monorotaia della logicità: il giorno stesso della visita di controllo mensile, presso l’Istituto tumori Giovanni Paolo II, lei come tanti pazienti inchiodati a quel destino indesiderato, lasciavano l’ambulatorio e imboccavano una scalinata per raggiungere la farmacia della struttura che, munita di apposita anagrafica, consegnava il farmaco. E via a casa. «Mai avuto un problema - racconta la donna - Mai fatto code. Insomma tutto funzionava alla perfezione, proprio dal punto di vista pragmatico. In più, l’istituto tumori di Bari è un’eccellenza del territorio, è in rete a livello internazionale e non ha da invidiare nulla al resto d’Europa».
Da aprile, invece, quasi come uno scherzo del fato, in piena emergenza Covid-19, il ritiro dei farmaci è stato spostato da tutt’altra parte: la farmacia territoriale è ora nell’ex Cto, presso il lungomare Starita. In uno stanzino in cui la luce è sommessa come l’umore dei più.
«Lasciamo perdere il disagio, per pazienti che portano comunque i segni della malattia, di raggiungere preferibilmente nella stessa giornata, un luogo lontano rispetto all’ospedale in cui avviene la visita di controllo - continua Anna -. Tralasciamo il fatto che il farmaco va prenotato di volta in volta per iscritto. Sarebbe invece necessaria un’anagrafica per approvvigionare i medicinali. Io, e come me tanti altri, non possiamo rischiare di restare un mese senza la cura. Però, poiché ho rispetto per le istituzioni, lungi da me polemizzare. Il problema di fondo è che all’ex Cto la distribuzione dei farmaci è trasversale, l’utenza è esagerata, arrivano pazienti con ogni patologia. Per cui si incontra una quantità enorme di gente, con lunghe file anche all’esterno, lì dove quando c’è tramontana fa freddo, e la probabilità dei contagi da coronavirus cresce inevitabilmente».
Da qualche mese, lo ammette, quel mostro del tumore ai polmoni le fa meno paura del maledetto virus. «Quando la sanità si fa carico di tanti pazienti che hanno bisogno di questi farmaci costosi, non può che ricevere il nostro grazie - aggiunge, prima di congedarsi -. Io rappresento la famiglia media italiana e mi piace collaborare quando il meccanismo è migliorabile. Per cui ribadisco che il disagio è principalmente racchiuso nella impossibilità, con il Covid in agguato, di ritirare il medicinale nello stesso luogo in cui viene prescritto. È una incongruenza che mette seriamente a rischio pazienti immunodepressi. Poi se questa urgenza mette gli occhi su altri aspetti che potrebbero funzionare meglio, che ben venga».