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Conversano, fecondazione assistita fatale: condannati 2 medici e la Asl

 
Antonio Galizia (foto Luca Turi)

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Antonio Galizia (foto Luca Turi)

Conversano, fecondazione assistita fatale: condannati 2 medici e la Asl

Una 38enne di Bitritto morì in ospedale il 10 giugno 2015

Domenica 20 Dicembre 2020, 14:20

CONVERSANO - L’Azienda sanitaria locale di Bari e due medici del Florenzo Jaja di Conversano condannati in primo grado per una presunta mal practice medica da cui sarebbe derivato il decesso di Arianna Acrivoulis, la 38enne di Bitritto, deceduta il 10 giugno 2015 nell’ospedale di Conversano dopo un trattamento di fecondazione assistita (Fivet).

Così si è pronunciato il giudice monocratico del Tribunale di Bari, Angelo Salerno, che ha condannato il ginecologo G.D. e l’anestesista O.C. a un anno e otto mesi ciascuno (pena sospesa) e l’Azienda sanitaria metropolitana al risarcimento dei danni in favore dei parenti della vittima, che si sono costituiti parte civile. Il pubblico ministero Grazia Errede aveva chiesto la condanna degli specialisti a 4 anni di reclusione.

Secondo l’ipotesi della Procura della Repubblica, il decesso sarebbe stato causato dalla decisione presa dal personale medico di continuare l’operazione nonostante subito dopo l’anestesia la paziente «avesse accusato un malore consistente in una brusca caduta della pressione arteriosa, con bradicardia e difficoltà respiratorie». I legali della difesa, gli avvocati Michele Laforgia, Luca Colaiacomo e Roberto Cerfeda, avevano invece chiesto l’assoluzione degli imputati, «perchè la paziente sarebbe deceduta per una complicazione imprevedibile» dovuta a quanto pare a problemi di natura cardiologica. Per l’accusa, l’avvocato Michele Sodrio, uno dei difensori di parte civile, la morte di Arianna Acrivoulis sarebbe invece stata causata da presunta grave negligenza o mal practice medica.

Le differenti ipotesi hanno caratterizzato le udienze in primo grado, un processo lungo che ha dovuto subire la chiusura del tribunale e la pandemia da Covid 19. Ad un certo punto, i familiari della vittima hanno temuto davvero che non si arrivasse a sentenza in tempo utile. Così invece non è stato e i legali hanno dato atto al Tribunale di Bari di aver sostenuto ogni sforzo possibile per giungere in tempo ad una sentenza di primo grado, evitando la prescrizione. Il processo, come ipotizzato dal collegio difensivo, potrebbe proseguire in appello con la Asl Bari (ha fatto sapere che non intende rilasciare alcuna dichiarazione) e i medici specialisti pronti ad impugnare la sentenza di condanna.

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