BARI - Covid, domiciliato al civico 19, certamente se la spassa, soprattutto quando sulla tv in salotto gli appare la faccia di Giuseppe Conte inamidato. Lo immagino simile a un cinquantenne magretto, vestito sciatto come i soggetti sicuri di sé e che pertanto alle apparenze non badano, come i capi delle segreterie politiche abili nel tracciamento voti e nel calcolo degli elettori infettati.
Lo vedevo sogghignare rimirando il cataclisma provocato. Ma da un po’ gli si è smozzato il sorrisetto di superiorità. Da quando in Puglia, candidata a zona rossa, i mascherinizzati più scaltri si sono attrezzati con misure che oscurano la stessa tradizione di sotterfugio dei napoletani. Soprattutto nel capoluogo, dove essere «un cornuto» corrisponde in gergo a padroneggiare una sagacia da Ulisse, un’intelligenza einsteiniana mirata al prendersi gabbo.
Il barese, all’indomani delle restrizioni contesche ed emiliane, ha valutato in primo luogo le urgenze sanitarie inalienabili. Le cozze. Stanno. Il taratuffo di frodo: sta. L’allievo. Sta. La fogaccia (con la gi, sì). Sta. La Peroni. Sta. Il rutto. Sta. A posto.
Però la pizza al tavolo non sta. La palestra per scrutare i deretani delle femmine e l’avantreno dei masculi non sta. La discoteca per bàila-bàila non sta. La mangiata matrimoniale dalla sera all’alba non sta, e non ci si può più manco ricoverare in gastroenterologia. Allora che fare?
I ristoratori si ingozzano in cene all’alba spernacchiando chi li ha precipitati. Famiglie imbestiate banchettano negli autogrill, diventati la Svizzera delle adunate. Molti «figli di puttana» (ennesima qualifica che a Bari denota il mostrarsi in gamba) si radunano alla girata dei locali acquistando cibo e imbandendo mense sui cofani delle auto.
Nel borgo antico alcuni pub fanno slittare gli orari per adeguarsi alle scadenze variabili imposte dai governanti. Per scongiurare l’asfissia anime bieche hanno escogitato il taglio della mascherina in zona labiale, tanto anche se il carabiniere o il finanziere ti fermano, la giustificazione sgorga spontanea: «Embè che volete? Si è rotta».
C’è un fremito WhatsApp che corre dal quartiere San Girolamo al Murat al San Paolo. Segue il metodo di reclutamento clandestino in codice cifrato delle comunità rave party degli impasticcati: ville lontane dalle arpie dello Stato, talvolta abbandonate, orari depistanti per feste di compleanno, onomastico (ma perché festeggiate? che vi frega degli onomastici?), comunioni e cresime (perché buttate vangate di soldi per l’intimità spirituale?) e anche di matrimonio (invece di piangere il divorzio ineluttabile).
Però Covid, quel Covid là, oltre che rabbuiato per la nostra arte di arrangiarsi, da qualche giorno mi pare anche incerto, destabilizzato. Non gli torna qualcosa, una certezza manca. Perché per la prima volta nella storia i nordici stanno fornendo esempi di scaltrezza alla Terronia selvatica, minando l’intero impianto della Controriforma sanitaria. I lombardi fessi (vuol dire, onesti, dalle nostre parti) vanno a cenare nel Trentino ancora non sepolto dalla cappa plumbea del divieto totale, con prenotazione camera. A Bergamo per aggirare i posti di blocco è nata una chat. A Roma Halloween è finita in orgia dall’aurora in avanti, dribblando i divieti orari. A Parigi uguale. Ma soprattutto – e raccontarlo mi rode – i civili, corretti olandesi a Roosendaal, sfruttando il cavillo legale, cenano e sbevazzano seduti e serviti in roulotte posteggiate davanti ai ristoranti. Mi hanno mandato pure delle foto testimonianti. È un po’ come il caso del tuzzo (testata, in barese) assestato a Ostia da quell’animalo al giornalista Rai. I baresi credevano di essere gli inventori, i maestri di questo colpo sleale. Sono sicuro che ci sono rimasti tutti male. Io pure. Assai.