La polemica
Molfetta, l'ira dei pescatori: no al fermo biologico
«Dopo il lockdown le imprese sono state costrette a fermarsi nuovamente»
Molfetta - È ripartito soltanto il 29 agosto il settore pesca in Puglia, cosi come anche a Molfetta, dopo l’ennesimo periodo di blocco delle attività, dovuto questa volta all’inevitabile fermo biologico. Un fermo che ha avuto riflessi anche sui clienti.
Nell’anno dell’emergenza Covid, proprio quel 28% degli italiani che ha scelto la Puglia quale meta per le proprie vacanze, ha dovuto assaporare soltanto il pesce di importazione, proprio a causa del fermo obbligatorio delle imbarcazioni da pesca durato 30 giorni, esattamente coincidente alle ferie estive degli italiani e alla ripresa del turismo costiero.
La scelta di questo calendario è uno dei motivi di dissenso da parte di Federpesca, che non ha esitato a lanciare l’allarme per la conclamata crisi del settore. «Mentre il Paese ha avviato finalmente la ripartenza, le nostre imprese di pesca, dopo un lungo periodo di inattività o comunque di drastica riduzione dell’attività, sono state costrette a fermarsi nuovamente – ha dichiarato Franco Minervini, responsabile di Federpesca in Puglia e presidente di Assopesca di Molfetta - Lo stesso avverrà in autunno anche per il segmento dell’attività di pesca dei piccoli pelagici, acciughe e sardine, per le quali da tempo chiediamo una rimodulazione delle chiusure spazio-temporali».
Secondo Luigi Giannini, Presidente di Federpesca, per una situazione eccezionale, non prevista e non prevedibile, non derivata da responsabilità di alcuno, si sarebbe dovuto procedere con interventi eccezionali anche rimodulando, laddove necessario, i piani di gestione vigenti.
Da sempre Federpesca chiede maggiore flessibilità nella gestione delle giornate di pesca, lasciando all’autonoma programmazione produttiva e commerciale delle singole imprese la decisione sulle giornate nelle quali fermarsi. Tra le soluzioni ci sarebbe quella di assegnare a ciascuna impresa di pesca un plafond di giornate operative, da considerarsi come limite massimo rispetto alla necessaria coerenza e sostenibilità̀ ambientale.
Nel corso degli ultimi anni il comparto ha sofferto per causa di una legislazione europea spirata ad un eccessivo rigore, cui si è sommata la normazione amministrativa nazionale, che ha determinato una distanza spesso incolmabile tra una sovrastruttura burocratica e la realtà concreta ed operativa dell’attività̀ di pesca.
«La pesca si esercita dal lunedì̀ al venerdì̀ – ha proseguiti Franco Minervini - incuranti delle condizioni meteorologiche e della domanda del mercato. I grossisti si approvvigionano al mercato del lunedì̀, quando la produzione nazionale è assente, mentre i prodotti ittici importati rappresentano la parte più consistente dell’offerta. Le conseguenze nell’ultimo decennio sono drammatiche. Settemila posti di lavoro persi, il 48% in meno di catture, un calo del 31% della redditività delle imprese e un aumento dei costi di produzione del 240%. Il tutto con un livello di soddisfacimento della domanda interna incapace di superare il 14%».