Ostaggi Selvaggi

Covid 19, l'intervista irriverente a Decaro: «Giovane, pure io sindaco ho fatto la quarantena»

Alberto Selvaggi

Parla il primo cittadino di Bari: ho rischiato. Non dormo più, i video-blitz non sono spot elettorali. Ecco una nuova rubrica. Per trascorrere le ore della clausura asfittica abbiamo ascoltato pugliesi e lucani noti condannati al medesimo destino

BARI - Per trascorrere le ore della clausura asfittica ho pensato di ascoltare pugliesi e lucani noti condannati al medesimo destino. Con l’assistenza spirituale del mio convivente felino Dorian Gray. Eccone uno, per esempio. 

«Buongiorno sono Antonio Decaro…».
Ah sì sindaco, ma deve aspettare un momento per l’intervista. Sto facendo i ricci.
«Allora la arresto. Meglio le pelose, a questo punto».

La gente si chiede perché mai a Bari avete appioppato un multone a un solitario che in mare pescava senza trasmettere alle bavose il virus.
«Perché se sul Lungomare non c’erano altre persone, per arrivarci quel tizio le ha incontrate di certo. E soprattutto, se tutti andassimo a pesca, sugli scogli ci sarebbe la ressa. Anche mio fratello Nicola, docente a Veterinaria, è un appassionato pescatore di pelose. E ci soffre. Invece resta in studio ad analizzare la trasmissione animale del coronavirus, essendo specialista proprio di malattie infettive».

Mi chiedo come farà lei ora senza barbiere: con il taglio le evidenziava ulteriormente la Capa Quadrata che mi pregio di averle appioppato come nomignolo.
«Anche lei non mi sembra messo meglio, essendo una Capa Pelata».

Non nego, ma di notte mentre dormo il mio gatto Dorian mi si acciambella sul cranio elargendo così pietosamente un parrucchino.
«Ognuno ha i suoi rimedi, vede? Io non potendo andare più dal barbiere mi sono tagliato i capelli con la macchinetta. Ho cercato di seguire gli angoli retti sulla testa come faceva lui ma sul lato sinistro è rimasta una specie di bombatura mentre il lato destro è venuto molto più raso creandomi una specie di capa di sguincio: da Capa Quadrata a Capa Trapezio. Alla fine ho rimediato schiacciando il rigonfiamento con la lacca e con del gel che mi hanno dato le mie figlie».

Un po’ in stile Fuksas, l’architetto.
«Però non sono l’unico. In tv, via Skype, si stanno vedendo delle acconciature istituzionali allucinanti, dei ciuffoni alla Elvis, capacchioni stile panna montata e soprattutto tinte mostruose: politici, virologi che si fanno il parrucco da soli con mano ancora più maldestra della mia».

Siamo tutti condannati a languire. E quelli come lei a reggere anche una tensione terribile.
«Io non dormo da settimane, se non poche ore. Non stacco mai. Penso continuamente a cosa fare ancora. Il problema più serio adesso è nel sommerso, cioè dare assistenza alle famiglie. La spesa, cure domiciliari per chi è solo o isolato dopo un tampone positivo. C’è gente rimasta per strada e i 700 volontari, i medici che offrono al Comune il loro intervento fanno il possibile in una situazione impossibile. Prego che la gente riprenda a bestemmiarmi sui social come prima: sindaco, che sono queste strade piene di buche! Perché allora saprò che è tornata la normalità».

Lei il tampone se l’è fatto?
«Sì. Sono stato in quarantena per avere avuto contatti con un politico che aveva contratto il coronavirus. Ho avuto difficoltà respiratorie, febbre, ma sono risultato negativo. Oggi faccio regolarmente il test sierologico, che è cosa diversa, come tutti i dipendenti esposti al pubblico del Municipio».

E sopravvive.
«Sì, vado avanti, non posso fermarmi. Videochat con assessori, incontri Anci con i sindaci, con il governo. Da casa, dal mio piccolo ex deposito adibito oggi a studio di collegamento Skype con libreria a vista. Quando in realtà sulle altre pareti pendono sciarpe del Bari, maglie da calcio, vecchie foto da ragazzo, ricordi. Accanto alla postazione interviste tengo appesa la camicia di ordinanza e il maglione. Ma sotto in realtà sono sempre in pigiama».

Gulp.
«Di recente su una tv nazionale ho fatto appena in tempo a infilare la camicia, proseguendo, fuori dall’inquadratura a mezzobusto, il dibattito in mutande. E calzini».

fgdfgegedcsxxgw hhfgggggggg vcvfdffff (scusate, il gatto si è introdotto in questa intervista pigiando sulla tastiera, ma ormai non posso più cancellare, ha già scritto ciò che voleva dire)

«Pronto?».

Sì sono qui. Abbiamo un problema, Dorian, il gattino dalla faccia piallata, sta leccando il telefono ed emette versetti, mai fatto prima, evidentemente deve nutrire simpatia per lei.
«Un voto in più».

Lo ho placcato, prosegua.
«Dicevo, nonostante l’impegno sfibrante, a fine giornata mi ritaglio sempre uno spazio in famiglia, con mia moglie, aiutando le figlie Chiara, prima media, e Giorgia, ultimo anno di liceo classico, a fare i compiti; gli integrali ieri, per esempio».

Che? 

«Integrali, sarebbero funzioni matematiche. Poi cantiamo, facciamo il karaoke che è la mia passione. Al Bano e Romina, da Fred de Palma e Ana Mena Rojas a Gigi d’Alessio, con cui ho parlato giorni fa per questioni legate a dei comuni. Marracash, Elodie, U2 e Sting».

Classica manco per il piffero.
«Zero».

E poi se ne va in giro a fare video da randellatore.
«L’ho fatto i primi tempi e non per propaganda politica. Non ho una troupe ma soltanto il mio portavoce che filma. Non ho lo spirito né il fisico del giustiziere ma sapevo più di tutti, tramite i resoconti spaventosi dei sindaci del Nord, che belva terribile cercava di assalirci. Sapevo che cosa dovevamo affrontare e allora ho forzato la mia natura pur di salvare vite dei cittadini. A costo di andare certe volte oltre le righe. Ma io dovevo raggiungere un risultato. L’ho fatto pure con mio padre, come con quel vecchietto che viene multato in un filmato. Anche a papà, che ha patologie, ho gridato: basta, stai a casa, per la spesa c’è il telefono. La terza età è la fascia più a rischio e insieme la più infettiva. Volevo educare i negligenti, ma anche rassicurare i diligenti che stavamo dando il massimo per garantire un futuro sereno».

Tanto che ha pianto in quel video nella città di spettro.
«Sì. Un po’ me ne vergogno, ma se Sandro Pertini ci ha insegnato a non trattenere le lacrime, al contempo non me ne pento. Quando da corso Vittorio Emanuele ho girato in via Argiro, tempio della movida turistica straniera, dei bar, tavolini, e l’ho visto deserto, mi sono venute le lacrime. Non ce l’ho fatta più».

Ella, d’altronde, ha una spiccata vena sensibile. Rimembra l’episodio epocale del tentato suicidio in «Gazzetta»? Dopo la caduta del Muro di Berlino viene quello, per me.
«Beh sì, ho una certa propensione a emozionarmi. Un suo collega mi aveva erroneamente citato in un’inchiesta per associazione a delinquere…».

Capirai, pensi che io ho resuscitato pure Mariangela Melato dandola per viva.
«Sì va bene, una svista, ma a me crollò il mondo addosso. Vedermi citato in una cosa in cui non c’entravo niente…».

Pertanto, dopo vari retroscena da tragicommedia, piombò alla «Gazzetta» sede vecchia tentando di lanciarsi dal terzo piano, non dall’ottavo dell’attuale redazione barese. Un giornalista cinghialesco la placcò a più riprese con morsa rugbistica, altri si frapposero in tre ripetuti tentativi. Sa, io soltanto al teatro Sistina non ho ancora mimato questo episodio, ma lo farò, può starne certo.
«È vero sarà stata una situazione assurda, paradossale, ma io pensai veramente al suicidio in quel periodo. O accoppavo il giornalista o accoppavo me».

Meglio il giornalista.
«E se lo dice lei…».

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