Piange la tradizione

Cucina «in fretta e furia»: i baresi preparano in 37 minuti

Flavio Campanella

Quasi in soffitta gli usi dei baresi: il 30% pranza o cena fuori casa

«Dal momento in cui il tegame viene deposto sul fornello fino al momento in cui è veramente pronto tutto può succedere e può non succedere a danno o vantaggio di questa laboriosissima salsa che impegna chi la prepara come un quadro impegna i pittori». Giuseppe Marotta, autore del libro di racconti «L'oro di Napoli», ha dedicato un intero capitolo al ragù, all'arte del cucinarlo, alle ore necessarie per renderlo davvero speciale, come potrebbero confermare le nonne baresi o anche le attuali massaie, sempre più in via d’estinzione, capaci ancora di proseguire la tradizione. Il celebre scrittore descriveva le fasi di cottura («mai il ragù deve essere abbandonato a se stesso») nel 1947, riferendosi tra l'altro alla maestrìa delle nostre antenate dei primi del ‘900. Un secolo dopo, nell'era del «fast food», trasecolerebbe nel leggere il Rapporto Ristorazione della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, secondo il quale, a conclusione dell'indagine sugli stili alimentari, il tempo dedicato dagli italiani alla cucina è pari, pensate un po’, a 37 minuti al giorno. Anche a Bari e provincia.


Siamo d'accordo (almeno crediamo) sul fatto che, trattandosi di una media, al Sud per preparare i pasti quotidiani ci si metta un tantino di più (e già chi scrive fatica a comprendere come in poco più di mezz'ora si possa riuscire a mettere insieme pranzo e cena per una famiglia-tipo). Non c’è da farne una questione nazionale (la situazione però, se non seria, è senz'altro grave...). Ma, se anche si volesse ritenere la preparazione meridionale più meticolosa (un'ora? un'ora e un quarto di cottura?) resterebbe (diciamocelo francamente) il dubbio sulla resa di piatti tradizionali come fave e cicorie oppure come patate riso e cozze (ché solo a pulire e preparare «ci vuol mezza giornata», vi spiegherebbero sotto gli archi di Bari vecchia).
I sondaggi, però, non ammettono discussioni. A domanda fatta («in una giornata tipo quanto tempo dedica a cucinare?») la risposta è stata emblematica: l'8,2 per cento ha detto di passare davanti ai fornelli meno di 15 minuti, il 40,2 per cento dai 15 ai 30 minuti, il 41,3 per cento da 30 minuti a un'ora, il 9,3 per cento da un'ora a due ore e solo l'1 per cento ha dichiarato di spendere oltre due ore. Mentre cacciatori di dote (culinaria) sembra si stiano scatenando alla ricerca della donna che assomigli a mammà (una caccia al tesoro che, al più, si esaurirà entro questa generazione...), una speranza di ravvedimento e di recupero delle buone pratiche c'è. Per esempio, tre persone su dieci hanno dichiarato di cucinare a pranzo tutti i giorni, percentuale che sale a oltre il 50 per cento per la cena, pasto che sta assumendo un ruolo sempre più importante (si consideri che è il principale per circa 800mila bambini tra i 3 e i 10 anni).


Scende però il numero di coloro i quali sono soliti mangiare tra le mura domestiche: erano il 78 per cento vent’anni fa, adesso sono il 72 per cento, una riduzione quantificabile in 3,5 milioni di individui. In questo contesto, si riduce anche il tempo dedicato alla spesa: da una a due ore alla settimana con una media di 105 minuti, più o meno il tempo una volta utilizzato quasi quotidianamente. Infine, per quanto molti italiani (quasi uno su due), a dimostrazione del fatto che il cibo resta fondamentale nelle nostre relazioni, considerino il momento di mettersi a tavola come un'occasione di relax e per riunire la famiglia (il retaggio resta: il 75 per cento ha dichiarato per esempio di conoscere ricette o piatti tradizionali), il tempo medio del consumo dei pasti è da primatisti olimpici: l'11,9 per cento ci mette meno di 15 minuti, il 54,1 per cento dai 15 ai 30 minuti, il 31,1 per cento dai 30 minuti a un'ora, il 2,2 per cento da un'ora a due ore e solo lo 0,7 per cento più di due ore. Pranzi e cene nei locali sono esclusi, così come matrimoni e battesimi..

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