Le richieste di aiuto della moglie sono cadute nel vuoto, le istituzioni sembrano essersi dimenticati di lui. E la sua tomba si trasforma in una sorta di gioco per il malavitoso di turno. Per la sesta volta in due mesi e mezzo, la lapide del comandante della Polizia locale, il generale Nicola Marzulli (morto il mercoledì delle Ceneri a causa di un malore in casa) è stata vandalizzata. Ignoti si sono accaniti sulla foto (appena sostituita) sfregiando il volto e gli occhi, strappando anche i fili della lampada votiva e portando via il lume. Una vergogna.
Tutto questo è accaduto nel cimitero di Bari, un luogo dove esiste un impianto di videosorveglianza fuori uso da anni e dove inspiegabilmente non si riesce ad acciuffare chi si prende gioco dello Stato. Quello stesso Stato che al di là di un muretto del vialetto del cimitero dove riposano le spoglie del comandante, cerca di fare giustizia in nome del popolo italiano.
La vedova del generale (che qualcuno ritiene «colpevole» di aver svolto il suo lavoro in nome della legalità e del rispetto delle regole) aveva chiesto giustizia, nè più nè meno quella che suo marito ha sempre applicato quando era in vita. Ma adesso qualcuno non vuole farlo riposare in pace e si diverte a profanare continuamente la sua tomba quasi a voler dimostrare una forza superiore. «Ci sentiamo abbandonati» hanno sussurrato con amarezza i familiari confidandosi con parenti stretti e amici.
Alla figlia di Marzulli, profondamente ferita, non è rimasto altro da fare che fare l’ennesima denuncia, questa volta ai carabinieri. Da qui l’ennesima informativa indirizzata alla Procura che sul «caso Marzulli» ha aperto un fascicolo d’indagine affidato al sostituto Grazia Errede. Non sappiamo a che punto sia l’indagine e soprattutto se i mezzi tecnici, ove consentiti (ma questo i malavitosi probabilmente lo sanno per «esperienza») abbiano prodotto qualche risultato. Resta il fatto che la tomba di Marzulli non può essere esposta a un continuo saccheggio senza che nessuno riesca a far nulla.
La moglie e le figlie dopo l’enensimo sfregio di alcuni giorni fa, si sono rifiutate di spostare la salma in un altro posto perché tale gesto avrebbe significato una resa: una scelta da apprezzare, quella dei familiari, non solo perché onora la memoria di un uomo che ha fatto del rispetto della legge il suo modello di vita, ma perché protegge l’integrità di una comunità fatta di gente onesta e perbene. Gente che non può e non vuole scendere a patti con vigliacchi e delinquenti.
Il movente di tali continui danneggiamenti viene letto in mille modi: di certo c’è che tale «accanimento» non può essere opera di uno squilibrato come qualcuno ha inizialmente pensato. Dietro forse c’è una regìa occulta da parte di chi vuole lanciare un guanto di sfida allo Stato. Che da due mesi e mezzo indossa i panni di un pugile suonato ed è messo in un angolo sul ring. Quando finirà?