Incertezza sul voto un po’ meno sul premier
di GIUSEPPE DE TOMASO
Sostiene Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset e amicissimo da sempre del Cavaliere, che «quello di Paolo Gentiloni è il miglior governo del ventennio berlusconiano». Confalonieri non è un quidam de populo, né è soltanto un importante top manager del Paese. Confalonieri rappresenta la voce più autorevole e attendibile del palcoscenico berlusconiano. E, dicono i bene informati, ha inciso nelle scelte e nelle vicende del centrodestra italico più di quanto molti scafati retroscenisti immaginino. Se Confalonieri pensa tutto il bene possibile di Gentiloni e del suo governo, vuol dire che è questo il sentimento maggioritario anche nella reggia di Arcore.
Infatti, pochi giorni addietro, presentando l’ultimo libro di Bruno Vespa, il fondatore di Forza Italia ha osservato che in caso di stallo, dopo le elezioni politiche di marzo, si proseguirà con Gentiloni. È vero che quella ipotizzata da Berlusconi resta una soluzione subordinata, però in politica le subordinate, non solo tendono a trasformarsi negli obiettivi principali, ma spesso indicano il desiderio primario del dichiarante. E Berlusconi, nonostante le successive correzioni di tiro, se si trovasse a dover scegliere, tra un viaggio con Gentiloni e uno con Matteo Salvini, opterebbe per il primo, nonostante le alleanze regionali (Lombardia, Veneto e Liguria) tra Forza Italia e Lega.
A differenza di Matteo Renzi che, pur essendo stato più volte etichettato come il vero delfino di Re Silvio, ha riservato parecchi dispiaceri al suo presunto padre politico (dall’insistenza sul voto palese per la decadenza parlamentare di Berlusconi alla rottura del Patto del Nazareno sulla designazione di Sergio Mattarella a successore di Giorgio Napolitano al Quirinale), a differenza di Renzi, dicevamo, il premier in carica non si è mai trovato in rotta di collisione con il leader forzista.
Anzi, di fronte all’assalto lanciato dalla Vivendi del finanziere francese Vincent Bollorè per impadronirsi dell’impero mediatico berlusconiano, Gentiloni e il ministro Carlo Calenda non solo hanno fatto quadrato contro l’incursione transalpina, ma strada facendo hanno messo sull’attenti il raider bretone, esercitando per Tim (in capo a Vivendi) il cosiddetto golden power, ossia i poteri speciali che consentono al governo di blindare una società in nome dell’interesse nazionale. A Vivendi sono stati imposti nuovi obblighi dopo le prime prescrizioni.
Un governo dichiaratamente riconducibile al Cavaliere forse non si sarebbe potuto muovere con altrettanta naturalezza nei confronti di Bollorè, di fatto un concorrente di Mediaset e dintorni.
Ma Gentiloni è gradito a Berlusconi anche per altri aspetti, politici e caratteriali. In primis per l’aplomb. Ultima esternazione in ordine di tempo (in funzione anti-gufi): «La mia missione è completare la legislatura». Sottinteso: non ho ambizioni a lunga scadenza.
Il premier non è litigioso, il che lo porta a pronunciare una parola in meno proprio per evitare, sul nascere, problemi e malintesi. Non è puntiglioso, il che lo porta a privilegiare la mediazione rispetto alla decisione. Non è un estremista, il che lo pone nelle condizioni ideali, ad esempio, per guidare governi di vaste coalizioni o di unità nazionale. Non è un leader di partito, il che lo mette in rampa di lancio per esecutivi non caratterizzati da personalità tracimanti.
Insomma, Gentiloni possiede tutte le virtù per continuare a governare, anche o soprattutto, in un sistema politico non più maggioritario, bensì proporzionale.
Ci sarebbero altri due nomi in grado di ottenere il gradimento di Berlusconi qualora saltasse la riconferma di Gentiloni: quelli dei ministri Calenda (Sviluppo Economico) e Minniti (Interno). Ma, allo stato, la stella gentiloniana è quella che brilla di più.
Anche sul piano economico, le assonanze tra Gentiloni e Berlusconi superano le dissonanze, tanto da ipotizzare che il vero Patto del Nazareno sia stato stipulato tra Paolo e Silvio. La Flat Tax (aliquota unica) potrebbe rappresentare un punto di riavvicinamento tra Berlusconi e Salvini, ma su tutto il resto le divergenze tra Forza Italia e Lega non sono marginali. In più, i due sembrano animati da uno spirito di competizione interna (al centrodestra) che già adesso è foriero di incomprensioni e punture al veleno. Figurarsi dopo. Con Gentiloni questo rischio (per Berlusconi) non esisterebbe. E poi, anche in campo economico, le posizioni tra FI e Pd sono tutt’altro che inconciliabili.
Ha ragione Luciano Violante: perché la stagione gentiloniana possa durare anche dopo marzo è fondamentale il placet di Renzi. Placet che difficilmente il segretario Pd negherebbe, per la semplice ragione che l’attuale premier non si è insediato a Palazzo Chigi con l’intenzione di smantellare il lavoro del predecessore. Anzi, in ogni occasione, il presidente del Consiglio tiene a ribadire il senso di continuità con il governo precedente. Altri, al posto di Gentiloni, si sarebbero fatti prendere dal fascino della carica e avrebbero cominciato a innamorarsi del vocabolo discontinuità, gettonatissimo sinonimo di rottura, assai di moda nei decenni della Prima Repubblica.
Ma Gentiloni ha evitato accuratamente di perdersi in questa foresta terminologica. Non ha mai rilasciato interviste. Anzi, nell’era della comunicazione e dell’interconnessione al quadrato, Gentiloni ha scelto di esprimersi più col silenzio che col suono, più con gli atti formali che con le conferenze stampa (ridotte all’essenziale).
Una linea di condotta che lo associa al profilo soft adottato da Mattarella sul Colle più alto di Roma. Anche Mattarella, raccontano i quirinalologi, apprezza lo stile Gentiloni e lascia intendere di volersi affidare a lui in caso di stallo dopo il voto di marzo. Mattarella non sembra un cultore dei governi del Presidente. La regia di Gentiloni anche in vista di ulteriori verifiche elettorali viene ritenuta da tutti una prospettiva assai congeniale al Matterella-pensiero.
Solo un esito elettorale che sovvertisse questo presepe e spianasse la strada a combinazioni eterogenee, con i Cinquestelle al centro del gioco, potrebbe interrompere il cammino di Gentiloni.
Per ora, grazie anche all’endorsement berlusconiano, si profila una scenografia di questo tipo: massima incertezza sul voto, quasi certezza sul dopo voto. Si continua o si riparte con Gentiloni.
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