L'analisi

Il ruolo degli (ex) Populisti nel «Romanzo Quirinale»

Michele De Feudis

L’anomalia repubblicana sarà che il pallino non sarà in mano al partito che alle ultime politiche ha raccolto il primato dei voti

Si avvicina la fine del settennato del presidente Sergio Mattarella e inevitabilmente impazzano le trame del nuovo «Romanzo Quirinale». L’anomalia repubblicana sarà che il pallino non sarà in mano al partito che alle ultime politiche ha raccolto il primato dei voti: la crisi del M5S, con decine e decine di defezioni alla Camera e al Senato, unita alla rarefatta presenza tra i grandi elettori che indicheranno i Consigli regionali, ha opacizzato la stella grillina.

Il secondo effetto, collegato alla post pandemia e alla svolta del debito Ue, sarà la riconnessione delle forze marcatamente populiste nel 2018 con una logica «repubblicana» e non più anti-establishment, grazie alla base di partenza dell’ampia coalizione che sostiene il premier Mario Draghi: Lega e 5S in questi anni post elezioni hanno assunto un profilo molto differente rispetto alla piattaforma antisistema e critica dell’Ue che aveva caratterizzato una campagna elettorale tra le più eccentriche degli ultimi decenni.

Da qui le grandi manovre in corso, con scenari e previsioni, accordi e incontri carbonari, al fine di costruire irreprensibili maggioranze presidenziali che nelle prossime settimane verranno fatte e disfatte decine di volte. In questa ottica vanno inquadrati i dialoghi tra i vertici del Pd e i leader sovranisti, Matteo Salvini della Lega e Giorgia Meloni di Fdi.

Ci sono state riunioni separate, anche perché i “Dioscuri delle destre” vivono una stagione nella quale la rivalità quotidiana è un dato di contesto. Il senso politico di un tavolo tra dem e Carroccio o tra dem e destrinazionali è però evidente: nel Pd si inizia a sondare il terreno per un percorso condiviso e più ampio possibile da esplorare in autonomia, abbandonando lo schema giallo-rosso che sta annaspando nelle dinamiche delle prossime comunali di autunno. In più il centrosinistra (più 5S) non ha la forza parlamentare per eleggere un presidente della Repubblica ascrivibile alla propria area, come nel caso di Giorgio Napolitano o dello stesso Mattarella.

I numeri, secondo un recente conteggio di Youtrend vedono centrosinistra e centrodestra quasi equivalersi: 467 per i primi, 441 per i secondi. Poi ci sono 100 elettori ascrivibili ai piccoli partiti e al magma del gruppo misto, nel quale sono confluiti tanti dissidenti grillini. Per questo sono già al lavoro i pontieri, allertati dal rischio di vedere una scelta determinante per l’equilibrio dell’Italia politica e per l’autorevolezza del Paese negli scenari globali, sottoposta al gradimento del parlamentare eletto nei collegi esteri, come Ricardo Merlo, o alle bizze del pugliese Lello Ciampolillo.

La Lega, di contro, nella partita per il Quirinale avrà due binari: quello moderato e sensibile alle logiche mitteleuropee, impersonato da ministro Giancarlo Giorgetti e quello più spregiudicato del segretario Matteo Salvini, che ha già dichiarato di essere per Draghi al Colle, se l’ex presidente della Bce dovesse decidere di non portare a termine la legislatura a Palazzo Chigi.

Andrà avanti ancora a ranghi sparsi il M5S, che non ha - al momento - la forza mediatica che produsse nel 2013 la candidatura dell’accademico Stefano Rodotà, grazie all’imprimatur legalitario di Beppe Grillo e dei media giustizialisti. Finché non si scioglieranno i nodi della leadership di Giuseppe Conte, sarà difficile per i pentastellati giocare un ruolo di primo piano (anche se non va trascurato il canale di comunicazione - mai interrotto - tra i due ex vicepremier del Conte uno, Luigi Di Maio e Matteo Salvini).

Si porta avanti con il lavoro di sondare il campo avverso il Pd, anche perché tra le proprie fila si ripetono in piccolo le trame che portarono ai clamorosi insuccessi di Franco Marini e Romano Prodi: ora, infatti, fanno un pensierino al Quirinale il ministro della Cultura Dario Franceschini e l'ex segretario Walter Veltroni, attaccato con rara perfidia dal debenedettiano “Domani”.
E così, tra la destra che non mette sul campo le sue carte (“I nostri nomi? Non se ne fanno per non bruciarli”, ha chiosato prudentemente la Meloni) e la sinistra impegnata nella solita liturgia delle auto-congiure, crescono le quotazioni per una nuova soluzione istituzionale "in rosa”. Quale? Quella che porta all’attuale titolare del ministero di Via Arenula, la costituzionalista Marta Cartabia.

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