Il commento
La troika lucana contro la pandemia
C’è un gruppo su facebook dal titolo «La Basilicata non esiste». Naturalmente c’è dell’ironia e gli iscritti sono tutti o quasi nati in quel lembo di terra tra Puglia, Calabria e Campania
«Girano tanti lucani per il mondo, ma nessuno li vede, non sono esibizionisti. Il lucano, più di ogni altro popolo, vive bene all’ombra. Quando cammina preferisce togliersi le scarpe, andare a piedi nudi. Quando lavora non parla, non canta. Non si capisce dove mai abbia attinto tanta pazienza, tanta sopportazione». Così Leonardo Sinisgalli, il «poeta ingegnere» di Montemurro scriveva dei suoi conterranei. «Il lucano è perseguitato dal demone della insoddisfazione».
C’è un gruppo su facebook dal titolo «La Basilicata non esiste». Naturalmente c’è dell’ironia e gli iscritti sono tutti o quasi nati in quel lembo di terra tra Puglia, Calabria e Campania.
La Basilicata c’è in questo momento di drammi e lutti, e c’è nelle posizioni di massima responsabilità accanto al premier Mario Draghi nella lotta alla pandemia: Roberto Speranza, potentino, ministro della Salute; Luciana Lamorgese, potentina, ministro dell’Interno; il generale Francesco Paolo Figliuolo, potentino, nuovo commissario per l’emergenza Covid. Tre personalità completamente diverse tra loro, che amano poco i riflettori e per questo - in un Paese in cui si deve sempre apparire, nel bene e nel male - vittime anche di critiche e dubbi.
Sul «generale sempre in divisa» emerge un dato che conta più di tutti: Figliuolo è stimato da chiunque abbia avuto a che fare con lui, lo spessore umano emerge e va oltre qualsiasi incarico professionale. L’ex colonnello Giovanni Greco non ha dimenticato il momento in cui gli si presentò in caserma a Saluzzo nell’ormai lontano 1985. «Il primo giorno arriva accompagnato da suo padre, sottotenente dell’Aviazione. Mi si avvicina», ricorda Greco, «e mi dice “scusi, le devo chiedere una cosa”. Mi immaginavo una raccomandazione. Invece mi sento dire: “Se mio figlio dovesse comportarsi male, mi raccomando, ci vada giù pesante”. E fa proprio il gesto con la mano». Ora è atteso da un incarico inedito, qualcosa di estremamente complicato.Si tratta di organizzare la distribuzione dei vaccini in una fase in cui il virus non accenna a ridurre la sua incidenza, almeno come si sperava. Qualcuno in quella divisa ha visto la «militarizzazione» della gestione dei vaccini, ma queste sono sciocchezze tipiche del fancazzismo italiano. Più volte è stato detto che questa situazione del Covid assomiglia a una guerra: sta portando conseguenze sul piano economico e sociale molto simili a quelle che accompagnano conflitti su scala internazionale. E allora un personaggio come il generale può essere l’uomo giusto anche per rimettere in riga i furbissimi che scavalcano e travolgono anziani e malati per rubare una dose di vaccino.
Roberto Speranza lo descrivono come uno che si dà molto da fare. Eppure l’economista Massimo D’Antoni l’ha buttata giù in modo piuttosto netto: «Un pensiero a Speranza, caso unico di Ministro della Salute che riesce a risultare quasi invisibile durante la più grande emergenza sanitaria da un secolo a questa parte». Il ministro in realtà non calca mai la mano, dosa parole e interventi. Invita all’unità, chiede pazienza agli italiani perché «abbassare la guardia significherebbe vanificare tutti gli sforzi fatti». Soprattutto mette da parte l’arroganza tipica dei politici di lungo corso e, non avendo competenze specifiche in materia (ma quale ministro non tecnico ne ha), si affida agli esperti, che peraltro non sempre contribuiscono alla chiarezza.
La Lamorgese ha l’ingrato compito di tenere a bada un popolo da sempre impegnato a trovare il modo di fregare il prossimo e storicamente ribelle alle regole. Da un po’ di tempo sembra essere tornata sulla linea dura, ma nei mesi scorsi, complice una linea poco chiara del precedente governo, le maglie dei controlli non solo sono state larghe, ma inesistenti. Pur comprendendo come le proteste e la disobbedienza sociale non possono essere trattate solo come un problema di ordine pubblico, montando su una disperazione protratta da oltre un anno che è diventata una profonda questione esistenziale - e non solo per motivi economici - per tantissimi.
L’Italia è stretta tra tre sfide. Ci si sta vaccinando, lentamente ma si va avanti. Il pericolo è che però tutto finisca quando sarà troppo tardi per rimettere in piedi produzione, servizi e commerci. E poi toccherà metter mano, con profonde riforme, ad un sistema sanitario che ha mostrato pericolose falle. Sono temi complessi, forse impossibili. Però chi guida il Paese è chiamato ad affrontarli non solo approfittando dei miliardi del Recovery, ma forse anche più rivoluzionando un sistema non più al passo con i tempi. “Il grano, se non viene seminato, non nasce; l’uomo non impara, se non soffre”, dice un proverbio. Un proverbio lucano.