L'editoriale
Sciascia, il siero della ragione contro il virus dell'intolleranza
La sua lezione di vita, la sua eredità in biblioteca, la sua completa dimensione umanistica e letteraria si possono riassumere così: odio del male, amore per la libertà e per la ragione
Il 2021 sarà una fabbrica di celebrazioni, a cominciare dal 700mo anniversario della morte di Dante Alighieri (1265-1321), il Sommo Poeta che fondò l’Italia. Tra gli eventi più ravvicinati nel tempo ricordiamo la scissione dei socialisti a Livorno, sfociata il 21 gennaio 1921 nella costituzione del Partito comunista d’Italia.
Il prossimo 8 gennaio ricorre il centenario della nascita dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia, vissuto fino al 1989. Ricordiamo con particolare fervore la figura di Sciascia, non soltanto perché è un gigante della letteratura del secolo scorso, un fuoriclasse cui solo la miopia dei giurati e l’ostilità di alcuni ambienti culturali hanno negato l’alloro del Premio Nobel, ma anche perché, sotto la direzione di Giuseppe Giacovazzo (1925-2012), ha scritto splendidi editoriali per La Gazzetta del Mezzogiorno.
Sciascia è un grande. I suoi libri gli sono tutti sopravvissuti e le sue provocazioni culturali restano tuttora un copioso giacimento di intelligenza umana. Non c’è tema, non c’è materia in cui Sciascia non abbia lasciato un’impronta originale, mai banale, in ossequio al dio Sapere e alla dea Ragione.
Già il fatto di scrivere da padreterno e di avere molte cose da dire/scrivere non è una virtù facilmente riscontrabile, anche tra i più prestigiosi frequentatori dell’Olimpo letterario. Ad esempio: l’acutissimo triestino Italo Svevo (1861-1928) non aveva il dono della scrittura, inquinata nelle sue pagine da un pozzo (tedescheggiante) di espressioni commerciali e di forme dialettali, epperò questo suo stile ispido e controverso non sminuiva le storie e la «ciccia» dei suoi libri.
Sciascia no. In Sciascia forma e stile, contenuti ed espressioni, tesi e narrazione, si pareggiano e si sostengono a vicenda: tutti al top. Sciascia scrive romanzi come se fossero saggi e scrive saggi come fossero romanzi. È tra i pochissimi mostri sacri di sempre a potersi fregiare del titolo (se mai ci fosse) di romanziere-saggista o saggista-romanziere.
La sua lezione di vita, la sua eredità in biblioteca, la sua completa dimensione umanistica e letteraria si possono riassumere così: odio del male, amore per la libertà e per la ragione.
Se c’è un autore che ha fatto della sconfessione dei luoghi comuni la cifra che distingue un intellettuale senza collare da un intellettuale col collare, il suo nome è Sciascia, Leonardo Sciascia. Sciascia è l’antitesi dell’intellettuale organico, del commesso al servizio di un padrone, politico o economico che sia. Sciascia è il simbolo della letteratura-saggistica autonoma e scomoda, quella che preferisce i dubbi di Voltaire (1694-1778) alle certezze di Rousseau (1712-1778). Non a caso in Francia, il maestro di Racalmuto è associato all’autore di Candide (1759). Infatti, fosse vissuto nell’età dei Lumi, Sciascia avrebbe indossato, con estrema naturalezza, la parrucca incipriata e i calzoni a mezza gamba di un philosophe.
Non sappiamo quali manifestazioni saranno organizzate in Italia per onorare l’autore che più ha movimentato il palcoscenico culturale italiano tra il 1960 e il 1989. Non vorremmo che si ripetesse il copione già andato in onda nel 2019, in occasione del cinquecentenario della morte di un altro Leonardo, Leonardo da Vinci (1452-1519): due anni fa i francesi surclassarono gli italiani nelle iniziative in ricordo del genio rinascimentale, fino al punto di tentare, di fatto, di scippare la nazionalità del celebre artista-scienziato toscano. Sciascia non suscita le stesse sensazioni di stupore che tuttora provoca la scansione in sillabe delle generalità del progettista vinciano Le-o-nar-do, assai più popolare presso il grande pubblico. Ma, in ogni caso, LS rappresenta il classico moltiplicatore di dubbi e di domande presso coloro che, in tutti i campi, non si arrendono mai all’Ipse dixit, a chiunque si riferisca.
Il Sud ideale del siciliano Sciascia è un Sud più europeo e meno mediterraneo/ spagnoleggiante. È un Sud popolato da illuministi come Gianfranco Dioguardi (amico e studioso e biografo del Nostro). È un Sud che deve chiedere più libertà anziché più protezione.
Chissà quale sarebbe stata, oggi, la posizione di Sciascia di fronte alla sfida dei populismi e delle pulsioni anti-scientifiche; di fronte alla nostalgia per gli uomini forti; di fronte all’esplosione del fenomeno internettiano che oltre ad aver declassato le istituzioni pubbliche tradizionali ha cominciato, piano piano, ad annullare la riservatezza di ogni cittadino. Forse avrebbe ricordato che la vita privata di ogni persona va salvaguardata con la massima cura (e determinazione); che il diritto ad avere una vita privata non violata dalle interferenze e dai disegni del Potere - che non è mai sazio di informazioni e sottomissioni - è un principio non negoziabile da difendere fino all’ultimo, pena l’annullamento della stessa libertà individuale. Insomma, Sciascia non avrebbe certo chiuso gli occhi, o fatto sconti, davanti ad alcune involuzioni in atto che, specie dopo l’avvento del Covid, paiono sul punto di imporsi senza eccessivi ostacoli.
Chissà che cosa avrebbe scritto o denunciato Sciascia di fronte ai nuovi esempi di caciccato meridionale, lui che riteneva irredimibile e ingovernabile la Sicilia, elevata però a metafora dell’Italia, anch’essa quindi (sempre l’Italia) inesorabilmente non più utilizzabile per la partita pro ragione. Molto probabilmente il Voltaire italiano avrebbe sollecitato tutti a difendersi dall’insidia del potere personale, che non guarisce mai alcuna infezione, non combatte alcun male, semmai alimenta ingiustizie e favoritismi, arretratezze economiche e distorsioni democratiche. Molto probabilmente Sciascia avrebbe rimesso tutti in guardia, con più energia di prima, dal rischio di farsi sedurre e stregare dal potere tout court, la più demoniaca tra le pratiche umane.
In fondo è la lotta tra il potere tendente allo strapotere e la tutela del Diritto, come strumento e garanzia libertà, il filo rosso che cuce l’opera omnia di Sciascia. Un patrimonio culturale inestimabile, specie per il Mezzogiorno, dove gli assalti alla libertà e, a volte, gli autoassalti alla ragione, sono più numerosi e velenosi di un rettilario di vipere.
Si dice che ogni cimitero sia strapieno di personaggi indispensabili e che, al mondo, nessuno sia insostituibile. Può essere. Ma resta il fatto che mai come oggi si avverte la mancanza di uno spirito come Sciascia, del suo siero della ragione e della giustizia contro il virus dell’intolleranza e dell’oscurantismo, che avrebbe raccontato anche la pandemia e analizzato anche la Covideide alla sua maniera: senza concedere tregua ai professionisti dell’anti-ragione e ai detentori delle (s)verità ideologiche precostituite.