L'editoriale
Urge una tregua tra gli esperti in permanente tele-conflitto
Urge imporre un armistizio: per ridurre la confusione tra i comuni mortali, per aiutare chi governa a sbagliare di meno nell’affrontare un’emergenza che ha messo in ginocchio l’intero genere umano
Certo. Sarebbe bello se, in Italia, la classe politica, di fronte alla guerra mondiale scatenata dal Covid, ritrovasse quel senso di responsabilità che servirebbe nei periodi drammatici di una nazione. Sarebbe bello se maggioranza e opposizione deponessero le armi per collaborare in nome di un interesse superiore. Ma se persino gli esperti dànno il cattivo esempio, telelitigando da mane a sera e disorientando in continuazione l’opinione pubblica a casa, c’è poco da sperare in una ricucitura miracolosa.
Il Covid pare destinato a lacerare vieppiù un Paese già sbrindellato da un pezzo.
La rissa quotidiana tra virologi, epidemiologi, infettivologi e affini si trascina da una decina di mesi e non accenna a placarsi. Il partito degli esperti si divide in due correnti principali (chiusuristi e aperturisti), a loro volta divise in numerose sottocorrenti, alle cui estremità spiccano i negazionisti e i catastrofisti. Insomma, una sorta di arco costituzionale della scienza, o una specie di Carosello dei suoi testimonial tv, più attenti alle leggi del marketing che allo stile accademico pure dovuto al loro rango professionale.
Il cittadino comune si domanda per quale ragione l’Italia sia condannata a distinguersi sempre per una conflittualità permanente da fare invidia ai migliori agitatori di carriera. Ma è condannato, l’italiano medio, a rimanere senza risposta.
Intendiamoci. Anche altrove, in Europa e nel mondo, non sono rose e fiori: gli esperti non dicono tutti le stesse cose, i politici bisticciano come da esigenze mediatiche. Ma i decibel dei pollai italici sono irraggiungibili, di gran lunga più alti. E soprattutto solo da noi capita di assistere a esibizioni anti-virus, i cui protagonisti (gli esperti) non illustrano tesi diverse, ma molto spesso opposte. Il che, com’è facile intuire, contribuisce a scombussolare l’animo dei telespettatori molto di più dei bollettini quotidiani sulla diffusione dei contagi.
Le «vestali della salute» avrebbero dovuto fare solo da supporto alla classe di governo. Invece, con le loro divisioni interne, hanno introdotto elementi di divaricazione anche nei centri decisionali. Basti pensare ad alcune sventate previsioni ottimistiche - rilasciate sotto il caldo estivo - sull’offensività («modesta») del virus in autunno. Si è visto. Basti pensare ad alcune riflessioni sulla (presunta) minore pericolosità del Covid rispetto ad altre patologie. Ok. La mortalità da Coronavirus è assai inferiore rispetto alla mortalità provocata da altre infezioni e malattie. C’è un piccolo particolare, però. Il virus sbarcato dalla Cina fa collezione di contagiati, mentre molte altre patologie cui esso viene paragonato non saltellano da persona a persona, al contrario sono stanziali e autarchiche. Non ci vorrebbe molto a comprendere che il Fattore Contagio è essenziale nel fissare un ordine di priorità nella strategia di contrasto agli attentati alla salute. Una pandemia irresistibile merita molte più barriere e iniziative sanitarie di un male, pur più devastante sul piano individuale, ma di sicuro innocuo per i sani circostanti. Se così non fosse, se ci si limitasse solo a calcolare il numero delle morti dichiaratamente causate da una malattia, allora qualcuno potrebbe suggerire di soprassedere sul Covid, visto che determina meno vittime di altre patologie. Bah.
È il Fattore Contagio a rendere necessaria la precedenza della lotta al morbo che sta assediando il pianeta. Di contagio in contagio, in attesa del vaccino, si rischia di doversi misurare con prospettive infernali, con scenari apocalittici. Con la sanità e una nazione al collasso. Ecco perché destano perplessità quelle telesortite minimalistiche, avvalorate però dal prestigioso status dei loro dispensatori. Telesortite improvvide che, forse, non sono state estranee, insieme con i calcoli elettorali della classe politica alla vigilia delle regionali, al parto delle seguenti (sciagurate) linee di condotta: aprire le discoteche ad agosto; non affrontare preventivamente il nodo trasporti per cercare di limitare, con la riapertura delle scuole, assembramenti e contagi; non procedere al reclutamento dei medici, in numero insufficiente già prima della pandemia.
Non vogliamo assolvere i decisori politici, ma alcuni esperti non li hanno aiutati a scegliere per il meglio. Anche perché parecchi di questi esperti non posseggono il dono dell’umiltà, tipica della scienza, che - va ricordato - avanza sempre, popperianamente apprendendo, per tentativi e confutazioni, mai per dogmi e imposizioni.
E poi. Non sono pochi gli esperti per i quali il loro ambito di conoscenza è tutto, e che di conseguenza, a loro parere, tutti quanti vi si dovrebbero attenere, a iniziare dai governanti. Trascurano, questi esperti, un essenziale granello di riflessione: ogni scelta da parte dei governi e degli amministratori, comporta contraccolpi di tipo economico, sociale, giuridico, psicologico, ambientale eccetera. E chi si trova alla guida di un Paese, o di una Regione, non può non tenerne conto prima di deliberare.
Conclusione. Urge una moratoria, una tregua (anche a costo di sollecitare un intervento dell’Onu) nel conflitto infinito tra i depositari del verbo scientifico in materia di Covid. Urge imporre un armistizio: per ridurre la confusione tra i comuni mortali, per aiutare chi governa a sbagliare di meno nell’affrontare un’emergenza che - non dimetichiamolo - ha messo in ginocchio l’intero genere umano.