L'EDITORIALE

Quella spada di Damocle sospesa sul futuro di case e città

Giuseppe de Tomaso

Nessuno si sogna di introdurre il Far West in campo urbanistico, ci mancherebbe, ma la giungla delle regole (per giunta più variabili del clima) rende endemica la corruzione e fiacco lo sviluppo

Ci vuole davvero coraggio, o incoscienza, a investire in Italia. Le leggi sono come le stagioni: vanno e vengono senza fermarsi mai. Nessun settore è indenne dal contagio del positivismo giuridico. Oggi un’idea può apparire geniale, foriera di redditività per un’impresa. Domani la stessa idea può rivelarsi più sciagurata, e fallimentare, di una scalata alpina a piedi nudi. Tutto dipende dalle scelte, dagli umori, a volte dai capricci, del decisore esterno che si trova più in alto. Ma non dovrebbe essere la certezza del diritto il presupposto del vivere civile e, di conseguenza, del vivere economico? Sì, lo è solo sui libri di scuola e nei convegni. Per il resto, si arrangi chi può.

Prendiamo l’edilizia e l’urbanistica, le branche più esposta alla forsennata girandola di pianificazioni. Oggi si approva un pacchetto di lottizzazioni, domani lo si blocca (per decenni). Oggi si concede di rimediare ai ruderi industriali che deturpano una città, domani scatta lo stop. Un manicomio. Oggi ci si può arricchire senza problemi, domani ci si può impoverire senza pietà. Una spada di Damocle sospesa sempre, pericolosamente, sulla testa degli operatori.

Tutta colpa di un pregiudizio di fondo: l’ostilità a costruire, e, soprattutto, la contrarietà ad assecondare le esigenze, i desideri, i gusti della gente. Chissà cosa accadrà a pandemia cessata, quando le aspettative delle famiglie e dei singoli risulteranno rivoltate come un calzino rispetto alle aspirazioni e alle tendenze conosciute finora. C’è chi, angustiato dagli spazi modesti durante l’attuale confinamento domestico, vorrà un’abitazione più comoda per affrontare meglio un’eventuale gara di ritorno con il coronavirus. C’è chi, obbligato al telelavoro, vorrà una casa più ampia per evitare di interferire con la videoattività della moglie e con le lezioni on line per i figli. C’è chi, poco avvezzo alle ultime tecnologie, pretenderà l’appartamento più digitalizzato del pianeta, perché scottato dai sacrifìci imposti da una magione vetusta e tradizionale.

Insomma, qualcosa o molto cambierà in materia edilizia e residenziale, anche se nessuno sa come, quando e quanto. E poi dipenderà dai soldi rimasti nelle tasche degli italiani. E poi dipenderà dalla tassazione immobiliare, solitamente in agguato peggio di una tigre affamata: incoraggerà o meno gli acquisti di immobili più confortevoli? E gli immobili vecchi incontreranno acquirenti disposti a rilevarli? Un fatto è certo: anche per le città, nessun pianificatore possiede, possederebbe o possederà tutte le informazioni giuste e indispensabili. Il che accade da sempre, ma mai come oggi questa constatazione è a prova di smentita.

Nessuno può vaticinare nulla in campo urbanistico dal momento che tutte le società, tutte le città, intese nel senso di civitas, sono cresciute (nei secoli) e crescono pure oggi sull’evoluzione, sulle necessità e sugli esiti del lavoro. Nel Medio Evo era il possesso di una casa (di solito vicina alla bottega artigiana) a fare di chiunque un cittadino. Accadeva l’opposto nell’Atene di Pericle (495-429 avanti Cristo), quando, invece, era la campagna la radice della cittadinanza. La proprietà agricola era consentita solo ai cittadini. Chi ne era escluso, non godeva dei diritti di cittadinanza.

MUTAZIONE - Il progresso ha favorito la nascita delle città. Ma soprattutto le città hanno agevolato il progresso, promuovendo il commercio. Il mercante, quello attivo in città, ha rivoluzionato il mondo assai più di Lenin (1870-1924). Sì, perché la terra è limitata mentre il commercio è illimitato. Il commercio è libertà, la terra è limitazione. Il commercio è quasi impossibile da confiscare, la terra è più facile da espropriare. La terra spesso porta alle guerre, il commercio alla pace. Il commercio è mestiere per uguali, la terra no. Il commercio è sinonimo di concorrenza, la terra discende dal monopolio.
Ecco. La cornice di questa mutazione antropologica, residenziale, economica e territoriale si chiama città. Se, nei secoli, qualcuno avesse impedito di costruire, contrastando le richieste ed esigenze maturate nel mondo del lavoro, l’umanità non avrebbe conosciuto lo splendore artistico, architettonico, sociale ed economico delle città, che hanno trainato il resto delle rispettive nazioni/regioni di pertinenza.

Attenzione. Nessuno si sogna di introdurre il Far West in campo urbanistico, ci mancherebbe, ma la giungla delle regole (per giunta più variabili del clima) rende endemica la corruzione e fiacco lo sviluppo. Davvero è difficile raggiungere un equilibrio tra regole chiare e certe e libertà di costruire in base alle reali richieste del mercato? Davvero è difficile rimuovere, anche semanticamente oltre che concettualmente, il vocabolo “concessione” che sottintende una fonte decisionale paternalistica se non autocratica? “Concessione” in nome di chi? Davvero è difficile rendersi conto che pianificare minuziosamente un territorio significa pianificare la sua economia. E chi è così edotto, lungimirante e preveggente da sapere, in anticipo, dove evolverà l’intero sistema di relazioni umane, materiali, commerciali, industriali, composto da una moltitudine di individui?

Certo. Il territorio è un bene non riproducibile, va usato e utilizzato con giudizio. Ma anche il degrado del territorio, non solo il suo consumo, è una iattura. E poi il territorio serve a rendere più comoda l’esistenza di uomini e donne, serve a facilitare l’accesso a quella benedetta cittadinanza che la costruzione di razionali agglomerati urbani ha reso possibile. E la cittadinanza significa democrazia, un concetto, un traguardo estranei al vecchio mondo rurale.

Era il grande Leon Battista Alberti (1404-1472) a sostenere che l’architettura è nata per rendere la vita più felice, il che, di per sé, rende impossibile la stima, la quantificazione del bisogno futuro di case e di casa.

La rinascita dopo l’epidemia da coronavirus dipenderà anche dal tipo di risposta che verrà dato alle nuove esigenze urbanistiche e residenziali. Se prevarrà ancora l’incertezza normativa, se non si arresterà la volatilità giuridica; se dilagherà la logica autocratica e illiberale nelle autorizzazioni a costruire, a ristrutturare e manutenere; se proseguirà la pianificazione ostativa; se regnerà il nonsipuotismo permanente, beh allora succederà come per le mascherine a prezzo fisso, pianificato. Un flop e tutti inviperiti neri.

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