Il punto
Quest’autunno fra tasse da pagare e nudi di donna
Basta, basta, dicono dai Comuni e dalle prefetture. E basta, aggiunge il cittadino onesto e educato, che paga le tasse come da calendario. Anche la prossima feroce Imu.
Spigolature autunnali. La prima. Giorni fa, a Bari, ho colto una locuzione adirata, anzi, uno sfogo imbestialito. Un tale, all’edicola, leggiucchiando un titolo di un giornale finanziario in cui si parlava del fisco esoso che si avventerà ancora, non solo sui guadagni da lavoro, sui redditi qualsivoglia, ma anche sulla casa, compitava: «Irpef, Iva, l’Imu» e concludeva sbuffando, «Li murt ca’ tin». A voce bassa, mormorando quasi e indirizzando quella giaculatoria insultante ad un «tu» preciso, non generico o immaginario, quel «tu» che era lo Stato, il governo, il ministero delle Finanze, quel prossimo gabelliere esoso che gli, ci e vi sta rovinando l’aspettativa del Natale.
In attesa di varare, finalmente, dopo le ringhiose concessioni della Commissione europea, la legge finanziaria, il governo programma il suo calendario con sottigliezze astute e astuzia di sottigliezze e balzelli e inasprimenti fiscali frutto di fantasia operosa e furbizie di ogni risma. E, non contento di istigare ansia, ci ricorda da tempo, e ogni giorno, che lo Stato, quando vuole, ha fantasia e, da tempo immemorabile, se la piglia sempre e solamente con gli stessi: i deboli refrattari alle astuzie, alle ritrosie furbastre, all’elusione, all’evasione, al furto contro la collettività. E, forse, quell’uomo della strada avrebbe preferito un calendario semplice e profumato: i santi al posto giusto e un fiore per ogni giorno, invece che una scadenza fiscale. Ecco perché insolentiva trapassati e antenati di quel mostruoso essere tentacolare che raduna nel suo corpaccione famelico le decine di migliaia di evasori che, con la loro attività criminale, rubano allo Stato, agli altri contribuenti, ai cittadini onesti centocinquanta miliardi di euro ogni anno. «Li murt di chidd» , si direbbe in vernacolo vendicativo.
Ogni anno, arrivato il mese di luglio possiamo, noi Italiani, pensare a noi stessi. Pare, a conti fatti, fatti da malinconici esperti contabili e da economisti depressi, che, con la fine di giugno, entrando nella costellazione del Cancro, abbiamo finito di lavorare per lo Stato, di pagare, cioè, tasse e balzelli di ogni tipo e natura e possiamo pensare a noi stessi, a fare una vacanza, a comprare una camicia, a mettere da parte due soldi per la riapertura delle scuole, il rinnovo del guardaroba e dei libri di testo. E del diario. Su questo pregheremo i figli di appuntare la data che segnerà, l’anno prossimo, il limite temporale del lavoro in cui ci prodighiamo per lo Stato e l’inizio del lavoro che facciamo per noi stessi. E per le nostre famiglie. Sarà, temo, spostato alla costellazione del Leone in cui, peraltro, ci trovammo mentre ancora pagavamo balzelli, mentre il governo Conte 1 si scioglieva al sole ferragostano e alle aggressività leghiste. Mentre il carrettiere cambiava i cavalli alla stazione di posta del partito democratico, ma non cambiava idea sul fallimentare «reddito di cittadinanza», abbiamo girato la pagina dell’almanacco da muro e abbiamo doppiato la metà dell’anno, anzi, eravamo ben oltre. Ottobre è finito e abbiamo squadernato la decima pagina, la decima figura, quella delle vendemmie autunnali. E siamo a novembre. Nella pagina arriva l’allarme dell’anticipo delle tasse. Natale sobrio, per non dire rinsecchito, si profila sul calendario.
Seconda spigolatura autunnale. Amo i calendari. Da bambino li guardavo incantato: non solo quelli illustrati da vedute di paesi lontani o impossibili: plaghe fiorite, incantevoli baie di sirene, orridi meravigliosi di altitudini innevate. Io guardavo con avidità anche l’umile repertorio di giorni e santi compilato di righe rosse e nere con, al piede, la pudica pubblicità del digestivo delle fabbriche premiate o la reclame della farmacia o della tipografia che avevano stampato e regalato il calendario.
Il tempo, in quell’icona numeraria, mi sembrava regolato da mano umana che eccedeva la disciplina contabile del tipografo per dedicarsi al fluire delle stagioni e al repertorio delle effemeridi. Non capisco, oggi, chi espone i calendari con le donne nude. Io l’ho fatto, lo ammetto, ma ho abbandonato la pratica perché non si trovano più quelli con le signorine anonime e sconosciute, disegnate e velate. Mi mettevano allegria con quella neutralità della bellezza finta e smaltata: donne lontane e impossibili come le valli delle Svizzere almanaccanti d’un tempo, donne che non pretendevano d’essere corteggiate o sedotte, ma, con l’affabilità del loro silenzio di carta, chiedevano solo d’essere ammirate, irreali com’erano. I ritratti di donne vere non mi piacciono sull’almanacco, non mi piacciono perché, quelli, sì, sono artificiali e mi fanno sentire voyeur. Quelli di un tempo, eredi dei provocanti almanacchi da barberia, profumati di lavanda, erano civettuoli, maliziosi, mai scabrosi, con quelle donne anonime e immaginarie. Panorami docili allo sguardo malinconicamente svagato che dilatava il pudore privatissimo della paura per il tempo che passa in un’onda di fantasia quasi adolescenziale. Le foto di donne famose, poi, mi mettono in imbarazzo, non sono nude, sono discinte o svestite.
Terza spigolatura, a proposito di discinte. E discinti. Finalmente si sta affermando una sensibilità che si ribella all’arroganza del turista e del villeggiante (no, vacanziere no, non lo userò mai!). Spesso costoro si sentono legittimati e autorizzati a comportamenti incivili e scabrosi, per dir poco. Insozzano strade, parchi, piazze, chiese e monumenti, bivaccano insolenti e spogliati (nudi, no, il nudo è bello e loro sono orribili), mangiano e bevono dove capita, si lavano nelle fontane monumentali, scrivono sui muri, incidono affreschi, fotografano tutto e non guardano nulla. E quanto alle spiagge, viene la malinconia e vedere lo strame che ne fanno. Basta, basta, dicono dai Comuni e dalle prefetture. E basta, aggiunge il cittadino onesto e educato, che paga le tasse come da calendario. Anche la prossima feroce Imu.