L'opinione
Politica ed economia riscoprano la sociologia
«La sociologia, anche in quanto visione, diventa occasione cruciale per la costruzione di un ceto politico ed economico in grado di muoversi con agilità tra tradizione ed innovazione»
Più sono evidenti disorientamento collettivo, mancanza di solidi ancoraggi culturali e mappe concettuali, più è utile il ricorso a chiavi interpretative capaci di recuperare il valore delle molteplici interazioni esistenti tra sistemi e sottosistemi sociali. Per comprendere la complessità dell’intreccio sviluppatosi tra politica, economia e società, specie nell’era della globalizzazione e della disintermediazione, è indispensabile riscoprire il ruolo pubblico della sociologia.
Da Tocqueville a Weber, da Pareto ad Habermas, possiamo contare su un numero elevato di classici che dimostrano già da molto tempo quanto sia utile analizzare queste interazioni con lenti interdisciplinari. La politica poggia su basi sociali, si articola in attività sociali, contribuisce alla tenuta della stabilità della società o al suo cambiamento. L’economia è il risultato di scelte fatte in ragione delle specificità dei singoli contesti. Essa risente del condizionamento di fattori endogeni ed esogeni. Come sostiene Swedberg, tutte le economie sono “embedded”, cioè incorporate nelle relazioni sociali. Il discorso vale anche per i sistemi politici. L’obiettivo è definire quei temi che possono essere affrontati nella loro complessità e dinamicità grazie ad un’impostazione senza limiti e confini, come appunto è quella garantita dalla sociologia, scienza avalutativa nata a metà dell’Ottocento mentre si stava formando lo Stato moderno, ma anche metodo d’osservazione ed interpretazione dei fatti sociali.
Si pensi ai temi del potere, della responsabilità, della partecipazione dal basso ai processi decisionali, del peso nella vita reale delle istituzioni e delle sue logiche (spesso svincolate da quelle partitiche), delle disuguaglianze sociali come conseguenza di condizioni economiche precarie e come effetto dell’interruzione della mobilità verso l’alto. Si pensi, altresì, al ruolo svolto dalla tecnologia, alla trasformazione del consumo e del mercato, che da luogo di semplice transazione giuridico-economica è diventato luogo di produzione di senso. Si pensi alla questione della sostenibilità e alla costruzione di modelli antropologici in grado di superare le troppe derive individualistiche.
Sia nel suo livello empirico, sia nella sua funzione di tematizzazione e perimetrazione del nucleo fondante le questioni più significative che la politica e l’economia devono affrontare e risolvere, la scienza che studia la società (più come sistema che come struttura) diventa un angolo visuale utile se si vuole contrastare l’eccesso di frammentazione e ridurre il primato dei particolarismi sugli interessi generali. La sociologia, anche in quanto visione, diventa occasione cruciale per la costruzione di un ceto politico ed economico in grado di muoversi con agilità tra tradizione ed innovazione. Le scienze sociali sono a loro agio in quest’opera di contestualizzazione ed anticipazione dei fenomeni. Servono a fare sintesi delle polarizzazioni al centro del discorso pubblico. Servono a studiare il cambiamento o come risultato di conflitti o come frutto dell’evoluzione. La sociologia sa vedere e prevedere. Sa farlo anche quando, per dirla con cavalli, si concretizza solo in una “disciplina ingenua”: più che metodo scientifico, articolata e diffusa forma di “immaginazione sociologica” stando all’etichetta creata da Mills.
Come può l’agire politico coincidere con l’agire sociale, come può l’economia sfruttare la sua natura di processo (e non di condizione) senza questa capacità previsionale? Sono tre le soluzioni possibili per favorire un ruolo più attivo della Sociologia rispetto alla politica e all’economia: la soluzione gerarchica che, a partire da Comte, assegna alla sociologia una posizione di maggiore rilevanza rispetto ad altre scienze; la soluzione residuale, sviluppatasi nel convincimento che la sociologia debba occuparsi di questioni di cui non si occupano altre discipline; la soluzione formale che, come dimostra il contributo dato da Simmel, fa coincidere la sociologia con l’analisi delle diverse forme di relazione esistenti. Conviene riflettere sulle differenze esistenti tra la sequenza proposta da Marx e quella proposta da Parsons. La prima sequenza prende le mosse dalla disponibilità di risorse economiche e approda ai valori culturali, transitando attraverso le forme di potere e le regole giuridiche. La seconda, invece, parte dal sistema valoriale per approdare alle risorse economiche, passando attraverso le regole giuridiche e le forme di potere.
Se la politica e l’economia non ricorrono al contributo del “logos” sulla “societas” non avranno una chiara direzione di marcia. Non produrranno narrazioni che associno alle logiche della crescita economica anche l’obiettivo della maggiore coesione sociale. Non genereranno fiducia nel futuro, sottraendo la collettività alla rassegnazione, alle spinte centrifughe, al cinismo dell’eccesso di pragmatismo, all’iniquità, al sospetto reciproco, alla desocializzazione, alla mancanza di sapere e conoscenza, all’assenza di radicamento al bene comune. Serve un nuovo pensiero politico ed economico. La sociologia può essere d’aiuto.