L'editoriale
Nuova musica per il Sud (con qualche stecca)
Allarme. E’ imbarazzante dover salutare così il governo potenzialmente più meridionalista degli ultimi decenni. E i ministri Boccia e Provenzano in particolare. Ma dal programma di governo sono spariti i Lep
BARI - Allarme. E’ imbarazzante dover salutare così il governo potenzialmente più meridionalista degli ultimi decenni. E i ministri Boccia e Provenzano in particolare. Ma dal programma di governo sono spariti i Lep. Sono i Livelli essenziali di prestazione, il funzionamento e la qualità che dovrebbero essere garantiti (e ora non lo sono) ai servizi pubblici nelle città del Sud. E il cui adeguamento fermo da dieci anni doveva essere la condizione per andare avanti con l’autonomia rafforzata chiesta da tre regioni del Nord. La loro imprevista assenza dal testo diffuso rinnega il solenne impegno dei Cinque Stelle quando erano con Salvini.
Risultato: al Nord si concederà l’autonomia, c’è un ministero apposta per questo. Ma col rischio che avvenga senza che siano prima adeguati i servizi al Sud (dalla sanità ai trasporti, dalla scuola all’assistenza) tutti sotto il minimo richiesto dalla Costituzione e dalla decenza. E come sempre a danno della qualità della vita. Ma può il Sud continuare a subire questa ingiustizia, che lo condanna alla disoccupazione e alla fuga dei suoi ragazzi? E da un governo in cui non c’è più la Lega suo nemico giurato?
Non si dovrebbe continuare a trattare così non solo il principale problema del Paese, ma anche l’unica occasione per far crescere l’intero Paese se solo il Sud fosse messo nelle condizioni di svilupparsi con i mezzi che ora non ci sono, compresi appunto i servizi. Il Sud che è la salvezza di tutti. Nel programma, è vero, si parla di un
Cioè la spesa pubblica. Sulla quale ripetersi è più noioso del film
Ma siccome quando si parla di impegni per il Sud non c’è mai limite al sospetto, non è finita. D’accordo che un programma di governo non possa essere troppo particolareggiato altrimenti si litiga prima di cominciare. Ma non vi compare un’altra delle incompiute per il Sud: la perequazione infrastrutturale. Treni, strade, porti, aeroporti, telecomunicazioni. Senza perequazione, sulle ferrovie del Nord si corre a 300 chilometri all’ora, al Sud a 65. Né nel programma compare un altro impegno non meno sacrosanto di un tabernacolo: portare al 34 per cento del totale nazionale la spesa corrente e per investimenti al Sud, cioè quanto la percentuale della sua popolazione. Se si tiene conto che non ha mai superato il 28 per cento, sono 61 miliardi l’anno sottratti al Sud. Ciò che avrebbe potuto far salire il Pil, il reddito meridionale, di almeno un 2 per cento annuo: sufficiente per cominciare a creare nuovo lavoro. E a trattenere la meglio gioventù del Sud.
Tutto in dubbio, benché nello stesso programma si scriva anche che
Però è un governo del cambiamento. Con premesse così incerte, poco cambierebbe per il Sud. Eppure l’egoismo dei ricchi stavolta ha lasciato tracce al Sud. Una reazione civile e sociale inedita e incoraggiante. Conviene al nuovo governo parlare di dimenticanza e correggere quel programma.