L'analisi
Balzo dei lettori per la Gazzetta nonostante la pirateria in rete
L’ultima rivelazione Audipress attesta a quasi 500mila i lettori giornalieri de La Gazzetta del Mezzogiorno, con un incremento del 4,7% rispetto al secondo trimestre 2018 (473mila lettori) e del 12,2% rispetto al terzo trimestre 2017 (441mila lettori)
Sono numeri certificati. L’ultima rivelazione Audipress (terzo trimestre 2018) attesta a quasi 500mila i lettori giornalieri de La Gazzetta del Mezzogiorno, con un incremento del 4,7% rispetto al secondo trimestre 2018 (473mila lettori) e del 12,2% rispetto al terzo trimestre 2017 (441mila lettori).
Sono dati confortanti e incoraggianti. Per vari motivi. Uno, perché ribadiscono la forza del brand di questo giornale, il suo radicamento territoriale, la sua identificazione con la gente di Puglia e Basilicata. Due, perché nonostante la grave situazione di insostenibile incertezza che perdura dalla confisca, nel settembre scorso, del pacchetto di maggioranza posseduto dalla famiglia Ciancio, la Gazzetta, grazie all’impegno lavorativo e ai pesanti sacrifìci economici di giornalisti e poligrafici, ha continuato a onorare il suo speciale rapporto, più che secolare, con i propri lettori. Tre, perché il balzo in avanti degli indici di lettura smentisce le profezie di chi giudica irreversibile il declino della carta stampata.
Qualche giorno fa lo ha sottolineato con grande efficacia Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera: senza i quotidiani l’informazione è più povera, senza la carta i nuovi strumenti della comunicazione si ritroverebbero spaesati, senza punti di riferimento. Noi lo ripetiamo da anni: il palinsesto informativo di tv e web dipende dai giornali. Lo dimostra la povertà di spunti, idee e contenuti che si avverte sul video e sulla Rete nei giorni in cui i quotidiani non escono, o per le canoniche festività o per qualche stop nel settore.
Purtroppo all’aumento dei lettori non corrisponde l’incremento delle copie vendute. Il che può sembrare paradossale o inspiegabile. Ma fino a un certo punto. La verità è che le testate giornalistiche rischiano di subire la stessa sorte della musica, di fatto sequestrata dalla pirateria internettiana. Tutti, o quasi, ascoltano brani e canzoni. Ma pochissimi acquistano i relativi cd originali.
Qualcosa di simile accade per la carta stampata. I lettori aumentano, come conferma il nostro caso. Ma gli acquirenti calano, perché la pirateria rappresenta un’attrazione irresistibile per i consumatori e una beffa fatale per i produttori di notizie e commenti (i lettori corsari non vengono conteggiati).
Servirebbe un intervento regolatorio, che sanzionasse sul serio gli atti corsari che offendono e violentano l’opera e la dignità di chi lavora nel settore dell’informazione. Ma, chissà perché, questo problema che pure dovrebbe occupare e preoccupare molto la classe politica e i difensori dell’ordinamento liberaldemocratico, viene ritenuto, nell’agenda delle priorità nazionali, meno rilevante di un selfie tra due ex rivali di Montecitorio.
Sarà un caso. Sarà una coincidenza. Ma da quando è esploso il fenomento del web, il numero delle democrazie nel pianeta ha iniziato a decrescere, anziché a crescere. Non vogliamo scommettere sul nesso di causa ed effetto tra l’avvento di Internet e la crisi delle democrazie, non foss’altro perché la Rete nasce e si afferma come strumento di libertà. Ma è indubbio che la Rete, smaniosa di ritenersi e palesarsi come la nuova agorà, abbia inciso, e non in meglio, sulla qualità della rappresentanza politica.
È raro che si discuta con obiettività, distacco e tolleranza nei social. Ma una vera democrazia presuppone il dialogo, che è cosa diversa dalla comunicazione (spesso a senso unico). E i giornali, specie quelli non schierati, hanno nei decenni scorsi allevato e allenato al dialogo milioni e milioni di persone. Occorrerebbe, come scrive il giurista Sabino Cassese nel suo ultimo libro (La svolta), una «democrazia dibattimentale», obiettivo però molto difficile da raggiungere visto che la Rete oscura i volti e appiattisce le conoscenze.
Non è colpa dei giornali se oggi si allarga il fossato tra la verità vera e la verità raccontata. Il giornalismo partecipato o partecipativo è una bella aspirazione, ma non garantisce qualità e obiettività. Oggi nessuno è più proprietario esclusivo delle notizie. Chiunque, grazie alla Rete, può informare il resto della comunità di un fatto di cui è venuto a conoscenza. Ma il giornalismo non è solo inseguimento dell’immediato, è qualcos’altro, assai più profondo.
Già Franz Kafka (1883-1924) invitava i giornali ad aiutarlo a capire il senso delle cose, non già ad apprendere (solo) la sequenza dei fatti. Figuriamoci cosa scriverebbe oggi il celebre scrittore boemo di fronte a una montagna di informazioni farlocche e di invettive strutturali che disorienterebbero pure i più scafati decodificatori della sub-cultura internettiana.
Capire il senso delle cose? Oggi si rischia di precipitare, anzi il ruzzolone è già avvenuto, in quello che don Luigi Sturzo (1871-1959) giudicava il pericolo più grave per la politica: diventare un’arte senza pensiero.
Informazione e politica sono binari paralleli. Una buona informazione produce buona politica. Una buona politica produce buona informazione. E così una cattiva informazione genera una cattiva politica. E viceversa.
Prendiamo ad esempio l’ultima questione: il federalismo differenziato chiesto dalle Regioni del Nord. Sarebbe stato possibile discuterne con proprietà di linguaggio e serietà di argomenti in un angolo della Rete? Bah. Come minimo, sarebbe finita in rissa e nessuno avrebbe compreso nulla della posta in gioco. Poi, avrebbero prevalso i più forti, gli urlatori professionali. Per fortuna i giornali, tra cui la Gazzetta, hanno esaminato il problema con l’intento, kafkianamente ragionando, di «capire il senso delle cose». Probabilmente qualcosa hanno ottenuto, dal momento che il presidente del Consiglio ha messo nel congelatore il provvedimento sull’autonomia rafforzata.
Chi sa e chi non sa non possono svolgere lo stesso ruolo. Il bar della Rete ha finora sovvertito questo concetto vecchio quanto il genere umano. È stato merito dell’editoria cartacea nel complesso se informazione e sapere hanno aiutato le democrazie a non ridursi soltanto a conte elettorali, e a non arrendersi alla dittatura delle maggioranze.
Ecco perché apprendere che i lettori della Gazzetta, e di altri quotidiani, sono in aumento, è una notizia che alimenta la speranza e la fiducia nel futuro. E mai come adesso ce n’è bisogno. Specie in questa redazione.