La riflessione
Quella «mano» della politica alla criminalità nel Salento
«Partiti, movimenti e liste civiche dovrebbero attivare gli anticorpi necessari per impedire il reclutamento di soggetti a rischio»
Gli intrecci tra mafia e politica sono sempre più stretti. E a fare da collante è la corruzione. Anche nel Salento, terra nella quale, per tradizione, è presente la Sacra corona unita. Ma il tempo passa per tutto e per tutti. E anche la Scu cambia pelle. Subisce quelle mutazioni genetiche e generazionali così che, invece di far scorrere sangue per imporsi e per imporre il proprio potere, preferisce modelli organizzativi meno «invadenti». Le frange sono diventate network di potere, ispirandosi ed esaltando modelli comportamentali propri di altri territori, veicolati nel Salento dai mezzi di comunicazione di massa. C’è, insomma, un affinamento della capacità criminale dei capi-clan.
Capi clan che evitano - finché è possibile - azioni eclatanti (non si contano più omicidi di mafia) per non suscitare allarme sociale. Puntano piuttosto sulla capacità di intimidazione ma anche di mediazione e di direzione dei capi.
A una mafia sempre più simile a un comitato d'affari, sono i politici che si rivolgono per raccogliere i voti. L'allarme è stato lanciato l'altra mattina a Lecce durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario. L'accusa alla politica è stata mossa dal procuratore generale Antonio Maruccia: «Sono i politici a rivolgersi ai mafiosi per avere il consenso elettorale, non viceversa».
L’allarme del magistrato suggerisce due considerazioni. La prima. Il voto concesso al politico è per la criminalità una cambiale in bianco, pronta per essere portata all’incasso al momento opportuno. È la zona grigia dove si annida la corruzione, dove per i clan è più facile infiltrarsi nelle istituzioni locali, entrare nel business dell’erogazione dei servizi pubblici per ottenere affari.
In provincia di Lecce, negli ultimi anni, sono stati sciolti tre consigli comunali (Parabita, Sogliano Cavour e Surbo) per infiltrazioni mafiose.
«Tutto ciò - per dirla con le parole del procuratore generale - si evidenzia anche dalla spiccata attenzione dei clan mafiosi alla pubblica amministrazione e alle occasioni di guadagno che essa offre».
Già, proprio la corruzione. Un nodo centrale nei rapporti tra mafia e politica. E il procuratore generale, l’altra mattina, non ha lanciato soltanto l’accusa alla politica colpevole di andare a chiedere i voti ai mafiosi. Ha detto anche altro. Ha evidenziato pure un allarme corruzione. Nell’ultimo anno, rispetto ai dodici mesi precedenti, il numero dei procedimenti è raddoppiato, mentre quello degli indagati si è quintuplicato. Le inchieste per corruzione, infatti, sono passate da 32 a 71, mentre gli indagati sono quasi 400. La corruzione, in alcuni casi, potrebbe essere una sorta di collante nel rapporto tra i clan e la politica.
C’è poi una seconda considerazione. La politica è incapace di vigilare al proprio interno per impedire che accadano queste situazioni. Partiti, movimenti e liste civiche dovrebbero attivare gli anticorpi necessari per impedire il reclutamento di soggetti a rischio. E, visto che l’appuntamento elettorale con le Europee e le amministrative si avvicina, sarebbe opportuno vagliare con attenzione le candidature per evitare poi interventi della magistratura per mano della quale, finora, sono avvenuti gli unici interventi di epurazione.