La riflessione
Quell’angoscia di restare senza il mio giornale
«Tante pagine bianche – ecco cosa rischia la vostra Gazzetta se muore la nostra voce»: è La Gazzetta del Mezzogiorno del 9 gennaio dell’anno appena incominciato, la cui società editrice è sotto sequestro e per così dire in «amministrazione controllata»
Un quotidiano denso di notizie – una pagina desolatamente bianca. A lato, una cortese nota del «comitato di redazione per conto dell’assemblea» spiega: «Tante pagine bianche – ecco cosa rischia la vostra Gazzetta se muore la nostra voce»: è La Gazzetta del Mezzogiorno del 9 gennaio dell’anno appena incominciato, la cui società editrice è sotto sequestro e per così dire in «amministrazione controllata» a causa di problemi giudiziari con i quali il giornale e i suoi giornalisti non hanno assolutamente nulla a che fare.
Così il lettore è preso da un profondo senso di angoscia e rimane in ansiosa attesa di un rapido e positivo sviluppo degli eventi, mentre giornalisti e dipendenti, pur con evidente disagio, si trovano costretti prima a minacciare e poi ad attuare un’astensione dal lavoro.
E si avvertono subito gli effetti deleteri dell’assenza di informazioni coerenti e corrette, tali cioè da consentire al cittadino di elaborare le proprie valutazioni sugli accadimenti che lo interessano e di definire le proprie idee politiche così da poter scegliere razionalmente i propri comportamenti civili. Viene naturale allora pensare a come vari nostri governi siano rapidamente e giustamente intervenuti sulle banche per salvaguardare i risparmi degli utenti – ma anche la tutela di una libera e corretta informazione è quasi altrettanto importante per consentire una cosciente e criticamente consapevole convivenza sociale.
Man mano che trascorrono i giorni il silenzio della politica diventa assordante, mentre i lettori e i cittadini più consapevoli vivono una situazione angosciante osservando il disinteresse generale per l’assenza di informazione.
Lettori e cittadini negli ultimi giorni dell’anno appena trascorso hanno testimoniato il loro interesse acquistando ognuno, in forma quasi plebiscitaria, più copie del giornale per sostenerlo: il direttore De Tomaso ha con sincera emozione ringraziato i lettori «padroni del giornale da 130 anni» perché non si è «mai vista tanta solidarietà umana a sostegno del nostro (e vostro) giornale» (La Gazzetta del 29 dicembre). Il giorno successivo La Gazzetta è uscita con l’intera prima pagina che dichiarava «Un milione di volte GRAZIE».
Questo generale sostegno da parte cittadini, della stampa locale e dei suoi organi istituzionali nasce dal fatto che La Gazzetta offre un’informazione da sempre libera da pregiudizi, corretta e al di sopra di ogni faziosità politica, proposta con estremo garbo, mai urlata come invece è purtroppo ormai d’uso nei mass media pronti a sostenere o distruggere questa o quella fazione politica anche con informazioni prive di ogni fondamento – merito vero quello della Gazzetta ma che, purtroppo, oggi può diventare addirittura penalizzante nello strano mondo privo di razionalità critica in cui ormai siamo costretti a vivere.
La Gazzetta rappresenta un Mezzogiorno diverso fuori dagli usuali stereotipi praticati dalle intellighenzie cosiddette progressiste, fautrici di un ormai obsoleto meridionalismo basato su perenni incentivi: è infatti un Mezzogiorno, quello della Puglia, che ha saputo rimboccarsi le maniche e che, grazie al duro lavoro, sostenuto dalla fervida immaginazione innovativa e creativa del suo popolo, ha dimostrato all’Italia e al mondo intero d’essere una realtà autonoma che riesce a conseguire il successo anche in ambito mondiale, dal turismo alle aziende pugliesi innovatrici – per esempio nel settore digitale la Edilportale di Ferdinando Napoli, nell’aerospaziale il Gruppo di Vito Pertosa e poi l’agenzia regionale Arti guidata dal prof. Vito Albino del Politecnico di Bari e ancora tante altre.
Sono peraltro questi i valori fondamentali che fanno della Gazzetta e dei suoi giornalisti veri e propri esempi di un Mezzogiorno nuovo e di una libertà intellettuale e culturale oggi davvero rara.
L’angoscia, l’incomunicabilità, il senso di isolamento e quindi anche di solitudine si sono accresciuti in questi giorni che hanno visto l’assenza del giornale in edicola e l’incombente pericolo di soluzioni sempre meno rapide mentre il silenzio generale rende la situazione quasi kafkiana. Sì! Proprio come quella che Franz Kafka (1883-1924), il celebre scrittore praghese mirabilmente descrisse nel suo indimenticabile romanzo incompiuto Il Processo pubblicato postumo per la prima volta nel 1925. Un romanzo che forse tutti oggi dovrebbero rileggere per cogliere l’angoscia che assale il protagonista Joseph K. quando viene arrestato e processato per una colpa che non conosce e che mai conoscerà in quanto gli viene negata qualsiasi informazione anche al termine del processo che lo condannerà a essere brutalmente giustiziato.
Il racconto di Kafka si svolge in un’atmosfera sempre più lugubre e inquietante resa tale proprio perché K., il protagonista, si ritrova privo di qualsiasi informazione che gli permetta di confutare le misteriose, mai espresse accuse. K., pur terrorizzato della situazione e dell’assurdità di un processo imbastito su fatti a lui ignoti, accetta comunque di recarsi alle udienze e lo fa proprio con l’intento di conoscere di quale inesistente colpa lo si stia accusando e quindi per potersi difendere. Soprattutto, lo fa per salvaguardare la libertà di tutti avendo capito che quanto gli sta accadendo può prima o poi succedere a chiunque. Un romanzo, Il processo, che si fonda sulle angosciose conseguenze di un’assenza di informazione - proprio come accade a noi tutti quando La Gazzetta non è in edicola.
Subentra allora il ragionevole dubbio che ci possano anche essere velati interessi a tenere disinformata l’opinione pubblica allo scopo di spingerla a scegliere schieramenti politici resi ancor più faziosi dall’apparente scomparsa dalla scena delle categorie tradizionali - destra, centro e sinistra. Categorie che oggi sembrerebbero essere state sostituite da quelle professate dallo storico Carlo Cipolla con il suo pamphlet Laws of Human Stupidity pubblicato in America nel 1976 e solo nel 1988 in Italia – nemo propheta in patria.
Cipolla si è sentito spinto a proporre Le leggi fondamentali della stupidità umana perché «le faccende umane si trovano, per unanime consenso, in uno stato deplorevole». Formula allora cinque leggi «generali», e cioè: abitualmente vengono sottovalutati «il numero di individui stupidi in circolazione» (prima legge); stupidi «indipendentemente da qualsiasi altra caratteristica della persona» (seconda legge), e descrive la stupidità come elemento che causa danni agli altri senza realizzare vantaggi per se stessi (terza legge), sottolineando che «le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide» (quarta legge). Conclude quindi che «la persona stupida è il tipo di persona più pericolosa che esista» (quinta e ultima legge).
Un monito acuto e grave da meditare proprio in relazione alla situazione della Gazzetta, alle possibili soluzioni, alla loro rapidità di attuazione e, soprattutto, riguardo le responsabilità in gioco, siano esse di persone o di istituzioni, affinché si possa trasformare un incubo in un bel sogno da tradurre al più presto in concreta realtà.