L'editoriale
Il sequestro di un giornale e il bisogno di giustizia rapida
«Se l’informazione scritta regge, nonostante tutto, lo si deve alla volontà di editori, giornalisti e poligrafici, di credere a un prodotto che rappresenta il cuore, la premessa di una vera democrazia»
Al principale azionista di questo giornale, l’editore Mario Ciancio Sanfilippo, hanno sequestrato una serie di beni per circa 150 milioni di euro. Il provvedimento è stato adottato dal tribunale catanese su richiesta della locale direzione distrettuale antimafia. Fra i beni sottoposti a sequestro figurano anche le quote azionarie di Ciancio Sanfilippo ne «La Gazzetta del Mezzogiorno» (all’interno, i particolari della vicenda). Ciancio è accusato, in sostanza, di aver accumulato beni secondo modalità mafiose. L’editore, che ha annunciato ricorso contro la decisione del tribunale, ribatte che le somme di denaro su cui i magistrati hanno acceso un faro, sono frutto del suo lavoro, e che lo può dimostrare in ogni circostanza.
L’iter giudiziario che vede coinvolto Ciancio Sanfilippo è iniziato più di dieci anni or sono. Finito sotto indagine nel 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa, nel 2012 era sopraggiunta la richiesta di archiviazione da parte della procura catanese. Richiesta bocciata dal Gup che ha disposto la trasmissione degli atti al pm.
Non vogliamo entrare nel merito del lavoro dei magistrati, cui va dato il massimo rispetto. Esprimiamo qui la nostra piena solidarietà all’editore Ciancio Sanfilippo che ha sempre lasciato totale autonomia alla direzione e alla redazione della Gazzetta. Siamo certi che dimostrerà la correttezza del suo operato.
Auspichiamo solo che i tempi della giustizia siano veloci. Sia perché giustizia ritardata equivale a giustizia negata. Sia perché, nel caso specifico di un giornale, la stabilità della proprietà, e della governance, costituisce una premessa essenziale.
L’editoria attraversa il periodo più difficile della sua storia. I bilanci delle aziende sono in rosso da parecchi anni, anche se le ristrutturazioni aziendali hanno abbattuto costi fissi e costi variabili.
Se l’informazione scritta regge, nonostante tutto, lo si deve alla volontà di editori, giornalisti e poligrafici, di credere a un prodotto che rappresenta il cuore, la premessa di una vera democrazia. È un filtro, un corpo intermedio, senza i quali una democrazia liberale evolverebbe in una democrazia autoritaria o plebiscitaria.
L’impresa giornale, poi, è un’impresa particolare. È un bene intellettuale, un bene diverso da altri beni strumentali o voluttuari. Certo, il conto economico è essenziale. Ma è essenziale, anche o soprattutto, il brand, la storia, la credibilità di una testata. E questa testata in 130 anni di storia al servizio dei Lettori e delle comunità di Puglia e Basilicata, qualche merito ritiene di averlo acquisito. Non pretendiamo che il prodotto giornale sia considerato, come avviene in quasi tutto il mondo, una voce passiva di un bilancio attivo. Ma un giornale è innanzitutto una comunità intellettuale, il cui patrimonio culturale va salvaguardato con cura e determinazione, a cominciare dalle dignità delle redazioni.
Noi continueremo a svolgere il nostro lavoro, così come abbiamo sempre fatto, augurandoci che sia preservato l’intero patrimonio, storico, ideale, umano di questo giornale.