Si sentiva Lucano a tutti gli effetti

"Mondo" Russo

Raffaele Nigro

Giornalista e saggista, è stato il simbolo del meridionalismo liberale

Che fosse uno scrittore di talento lo disse nel 1955 un reportage apparso sul «Corriere della Sera» e poi pubblicato in volume, Baroni e contadini, nel quale Giovanni Russo fotografava la condizione della Basilicata prigioniera del feudalesimo. Si disse che allora il baronato era ormai un mondo di fantasmi, ma Giovannino, come lo chiamavamo per la sua corporatura minuta, intendeva parlare di una società che era stata sempre divisa tra aristocratici e braccianti e impedita da questa divisione a far fiorire una qualche borghesia. Il libro ottenne il premio Viareggio, un riconoscimento che avrebbe aperto una strada di fortune letterarie che gli guadagnarono più tardi il Saint Vincent, il Positano e il Marzotto per il giornalismo.

Nato a Salerno il 15 marzo del 1925, Giovannino aveva trascorso infanzia e giovinezza a Potenza, dove era stato compagno per qualche anno di Rocco Scotellaro. Si sentiva lucano a tutti gli effetti. Nell’inverno del 1939, ricordava Russo, frequentavano entrambi il «Q. Orazio Flacco», lui era in quarta ginnasio e Rocco in prima liceo. Arrivavano imbacuccati per il gelo, il poeta rosso di pelo e pieno di efelidi, sempre sorridente, “se incontrava qualcuno con i capelli come i suoi lo abbracciava, perché pensava che tutti quelli che avevano i capelli rossi erano fratelli”. Rocco scriveva allora poesie vicine all’ermetismo di Sinisgalli e Quasimodo, ma non ancora poesie a sfondo sociale e politico, Giovannino si provava con i racconti che avrebbe poi raccolto in Le olive verdi e I lacci bianchi mentre Giandomenico Giagni, potentino e futuro regista alla Rai, scriveva opere teatrali e versi. «Una parte delle poesie di È fatto giorno - ricorda Russo - Rocco le impaginò a Roma, a casa di una mia zia» e in quegli anni strinse amicizia con Carlo Muscetta, con Adriano Olivetti che era presente in Lucania con il gruppo di ‘Comunità’ e con Cesare Pavese e Italo Calvino, con cui stette a colazione e poi con Amelia Rosselli.

Giovanni Russo cominciò a lavorare per il «Mondo» di Mario Pannunzio grazie all’intervento di Carlo Levi e poi per il «Corriere della Sera», con la mediazione di Flaiano e per “Nuovi Argomenti”.

Nel Carlo Levi segreto scritto per l’editore Dalai, Russo racconta l’incontro con una regione priva di strade e da poco visitata dall’Ente Riforma. Il paese era abitato da un mondo di miseria. Scrisse infatti L’Italia dei poveri, era il 1958, e lo fece seguire da Chi ha più santi in paradiso, 1964; e da una serie di volumi che reiteravano questi argomenti: Università anno zero, 1966; Il fantasma tecnologico, 1968; I bambini dell’obbligo, 1971; I figli del sud, 1974; Terremoto, 1981; Il paese di Carlo Levi, 1985, Premio Basilicata; I nipotini di Lombroso, 1992; Sud specchio d’Italia, 1993, Premio Mezzogiorno. Una miriade di libretti, agili da leggere ma che non riuscirono mai a dargli una vera fortuna di pubblico.

Conobbi Giovannino in quegli anni, al premio Basilicata. Un uomo allegro e riflessivo, un uomo trasparente, sempre pronto a raccontare aneddoti che coinvolgevano la sua vita e quella della società intellettuale nazionale. Ricordo una sera del ’95 a Valle Giulia, lui che arrivò per votare allo Strega almeno dieci minuti prima che si chiudessero i seggi. Claudio Magris lo bloccò, a suo vedere era tardi. Russo si impuntò, chiese che si consultasse lo statuto, gli fu riconosciuto il diritto di voto. Era un uomo delicato ma fermo Giovannino, con le sue giacche scozzesi, lo scollino annodato al collo e i capelli radi. Convinto che occorresse un meridionalismo nuovo, fondato sulla riscoperta della cultura meridionale, la sua difesa, la sua diffusione. Economia, storia e letteratura, andava tutto a braccetto e non c’era avanzamento del sud senza fioritura culturale. Nacquero da questo convincimento libri come Lettera a Carlo Levi,2001; Le olive verdi, 2001; È tornato Garibaldi, Cava de’ Tirreni, 2000, Premio Pisacane; Oh Flaiano! Cava dei Tirreni, 2002.

Il giornalismo, mi ricordava nel tempo in cui mi affacciavo a questa professione, deve fare i conti con la realtà osservata e scandagliata. Bisogna recarsi di persona sui posti , viverli in prima persona e tentare la sorte. «Io ho sempre avuto fortuna nei rapporti, con Fenoglio, Levi, Scotellaro, Pannunzio, la Rosselli». Se non fosse bastata la sua vita tra i contadini della Basilicata, avrebbe potuto fare da modello un lungo reportage condotto sui luoghi visitati da Giuseppe Garibaldi durante la guerra per l’Unità. Ne venne fuori il libro E’ tornato Garibaldi. Agile e di lettura piacevolissima, il libro accoglieva il reportage fatto da Russo tra Quarto e Santa Maria Capua Vetere, sulle orme dei Mille. L’impostazione è quella del giornalista che va appunto sulle tracce di Garibaldi, descrive i luoghi e soprattutto ciò che è rimasto nella cultura popolare, nelle strade, sugli epitaffi,dai tempi di quel passaggio. Un racconto fatto per scopo politico. «L’idea-diceva Russo- mi nacque quando la Lega del Nord proclamava la secessione. E soprattutto per dimostrare come l’impresa dei Mille fu possibile perché tanti volontari partirono da nord, proprio dalla leghista Bergamo, ma tanti meridionali accorsero a dare manforte a Garibaldi. E l’impresa fu possibile grazie all’unione delle forze». Partì da Villa Spinola, dove è stato organizzato un museo Garibaldi, e dallo scoglio che si chiama ancora Bagni 5 maggio. E poi giù verso Marsala. Le strade della città sono intitolate a oltre duecento personaggi e avvenimenti garibaldini e anche qui un museo celebra la spedizione, ma ricorda anche che ben 79 marsalesi seguirono il generale. E peggio fecero i cittadini di Salemi, che accolsero festanti i Mille, cosa che avvenne più tardi a Palermo e a Reggio, disseminando il territorio di testimonianze e di memorie che gli anni non hanno cancellato ma solo mitizzato.

Vicino alle posizioni di Panunzio, Russo si riteneva un liberale, ma a suo modo anche un radicale e se avesse potuto fondare un partito ne avrebbe fatto uno costruito sulle posizioni di Giustino Fortunato e di Gaetano Salvemini: il Sud innanzi tutto. Era un agguerrito difensore del Mezzogiorno, al punto da esprimere un convincimento fortissimo sulla necessità di drenare fondi al Sud attraverso la Cassa per il Mezzogiorno. Anche se il suo stesso «Corriere» gli fece notare che tutto quel denaro rischiava di finire nelle mani della mafia.

La nuova repubblica lo trovò in disaccordo con la politica di Berlusconi, sebbene per qualche tempo avesse seguito un’idea di rinnovamento politico e sociale vicino a quello proposto da Regan. La vicinanza a Flaiano gli dettava testi spesso ironici, come quel pamphlet del 1994 Perché la sinistra ha eletto Berlusconi.

Ci si incontrava negli ultimi tempi nella sua casa di via Grazioli, una casa ricca di ricordi e di cimeli. Eravamo nelle giurie di vari premi letterari. La morte precoce del figlio lo aveva abbattuto e ne dominava ormai il carattere e i comportamenti. Fino a un primo infarto e poi alla morte che lo colse il 25 settembre del 2017.

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