L'intervista

Tra lo studio e il palco la sincerità di okgiorgio: «Un po' producer, un po' dj, ma per fare musica il segreto sono i rapporti umani»

Bianca Chiriatti

Tanta tecnica e duro lavoro, è uno dei produttori più interessanti del momento (ha lavorato con i Pinguini Tattici, Fulminacci, Rose Villain). Domani, 8 febbraio, il tour fa tappa all'Eremo di Molfetta

Un po’ producer e dj, un po’ musicista; tanto cuore in studio e tanta anima nei live: sta di fatto che Giorgio Pesenti, anzi okgiorgio (i caratteri minuscoli sono voluti, e si dice che il nome sia nato cercandone uno convincente per l’account Instagram), è davvero una delle figure più interessanti del panorama musicale attuale. Artista a 360 gradi, stakanovista (lo chiamiamo in studio alle 10 del mattino, orario inconsueto per chi fa il suo mestiere, specie in periodo di concerti), il fortunato okitalia Tour fa tappa domani, 8 febbraio, all’Eremo di Molfetta. «Torno in Puglia volentieri - racconta alla “Gazzetta” - la risposta del pubblico è sempre molto immediata».

Di date ne ha già collezionate un po’, che sensazioni arrivano da questo tour?

«Sono contento: vengo da un anno in giro per tutta Italia, 40 date molto punk, festival diversissimi. Questo giro di palchi è più “strutturato”, ma intorno a me c’è gente che sta bene, balla felice, mi piace il clima che si crea e sto introducendo cose nuove, suono strumenti che mi riportano agli inizi, al mondo dei live. Mi piacerebbe far capire che ciò che faccio non è semplicemente il dj, ma una complessità di cose. Sono serate “suonate”. È vero, sono sempre attivo, ma sono di Bergamo e non potrebbe essere altrimenti...».

Qualche giorno fa ha perfino offerto la colazione ai fan dopo la serata...

«In tour ci sono tanti momenti “morti”, attese di quattro, cinque ore. Ho cominciato a pensare a come riempire quei momenti, e a Roma abbiamo deciso di offrire la colazione a chi ci raggiungeva, insieme a un set ambient, totalmente opposto rispetto alla notte precedente. È stato tutto improvvisato, mi hanno raggiunto un po’ di amici romani per suonare, un ragazzo mi ha scritto su Instagram per chiedermi di unirsi a noi. A Firenze i biglietti erano finiti, allora su un gruppo Telegram ci siamo fatti invitare a casa di una persona in cambio di qualche ingresso per la serata. Sono esperienze “umane”, ti restano dentro».

C’è un balance, quindi, tra vita in studio e vita sul palco?

«Sono nato lavorando in studio e porto tutto questo sul palco. Più mi esibisco, più in studio penso a cosa potrebbe funzionare dal vivo. E quando sono fermo produco roba più tranquilla. Mi piace mischiare i generi, gli stili, a cavallo tra ambient - appunto - e techno».

Un mix che è un po’ la sua cifra stilistica. Ed è sempre più richiesto come producer...

«Quello è sempre stato il mio primo lavoro. In generale è nato tutto dal passaparola: ho lavorato con i Pinguini Tattici Nucleari, Fulminacci, ultimamente molto con Rose Villain (c’è la sua mano anche nel brano di Sanremo, “fuorilegge”, ndr.). Quasi sempre riesco a costruire un rapporto personale con tutti, c’è stima reciproca e le cose avvengono naturalmente: con Rose e suo marito Sixpm, anche lui produttore, ero a New York, dove loro vivono una parte dell’anno, mi hanno invitato a cena per farmi ascoltare cosa stavano facendo e abbiamo lavorato insieme al brano. Tutto poco costruito e molto “umano”. Sono fortunato».

Era a New York perché il tour ha toccato diverse città all’estero: com’è andata?

«Il modo di fruire la musica è molto diverso, ogni nazione ha il suo carattere. In America è tutto molto grande, anche se il club dove mi sono esibito a Brooklyn era piuttosto underground. In Europa Londra è stata emozionante, patria dell’elettronica, in Spagna la gente era carichissima. Ormai ogni volta che suono all’estero si palesano dai 20 agli 80 italiani, alla fine del dj-set chiudo con Battisti o Mina, e si toccano vette indescrivibili».

C’è qualcuno che sogna di produrre?

«Ornella Vanoni. In realtà nel suo ultimo disco c’è un mio lavoro, ma mi piacerebbe inglobare ancora di più qualcosa di lei. Ho iniziato, poi, a colmare lacune che avevo: mi è venuta la fissa dei vinili, sia per suonare, sia per il semplice ascolto nei negozi di dischi. Poi sto studiando la cultura del clubbing, Gigi D’Agostino, roba mainstream per capire il modo in cui i grandi traducevano in musica la richiesta delle persone di ballare in quel determinato periodo storico».

La figura del producer è sempre più centrale...

«È un riflesso dell’America. Sta crescendo, ma non mi piace che diventi una figura “vip”. Io stesso non faccio il modello, non poso per i brand, vesto tute e marchi sportivi, cerco di essere sincero: così come sono in studio al mattino, la sera esco e suono».

Tour italiano, tour europeo, e poi?

«Non ho ancora programmi specifici. Un po’ di riposo, poi a suonare, in studio, di nuovo a suonare, di nuovo in studio, a ripetizione».

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