Pagine e note
Un libro, un brano e lo scorrere del tempo
Il potere di modificare la percezione. Viaggio nello spazio interiore
Fra le abitudini importate dall’America, alcune delle quali mi lasciano perplesso, c’è il «tempo di lettura»: su alcuni giornali sono indicati i minuti e persino i secondi necessari a leggere un articolo. Mi è capitato di cronometrarmi e verificare la rispondenza tra i dati, e li ho trovati spesso inattendibili: ognuno di noi ha i propri ritmi e quell’indicazione, piuttosto prescrittiva, mi è sembrata – magari a torto – ridurre la lettura a un atto meccanico, standardizzato, impersonale, espressione di un efficientismo discutibile.
Però, se con un articolo di giornale è velleitario e forse inutile, il problema del tempo di lettura si pone: esiste una durata ragionevole per affrontare, che so, il Doktor Faustus di Thomas Mann, o Infinite Jest di David Foster Wallace?
Perché, se è vero che ognuno hai i suoi tempi, è anche vero che una lettura troppo dilatata nel tempo rischia di vanificare l’efficacia, la forza espressiva, la bellezza di un romanzo. Paradossalmente, troverei più utile indicare un range entro cui leggere un libro piuttosto che un semplice articolo.
Naturalmente – si dirà – ci sono gli audiolibri, dove il minutaggio è indicato; ma l’ascolto dell’audiolibro è frammentato, di solito, e dunque la durata di un romanzo resta un fatto soggettivo. Non sarebbe male, forse, se lo scrittore stesso ci consigliasse: «Caro lettore, ti suggerisco di non impiegare più di una settimana per il mio libro», per esempio.
È questa una fra le maggiori differenze delle arti performative – la musica, la danza, il cinema, il teatro etc. – rispetto alla letteratura: ogni musica ha una durata esatta, anche un film – per quanto le serie televisive possano essere dilatate o compresse a seconda della nostra compulsività (ho guardato le quarantotto puntate di La casa de papel in poco più di due settimane). Un libro no, lì dipende dal tempo che gli dedichiamo, dalla capacità di restare concentrati prima di distrarci tornando a pensare ai fatti nostri, dall’abitudine, dal possesso di una tecnica di lettura veloce etc.
L’arte visiva, a meno che non sia intrinsecamente legata al tempo (video installazioni o happening) intrattiene, mi pare, un rapporto ulteriore e diverso col tempo: quanto «dura» un quadro? Quanto tempo ci serve per guardare, capire, perlustrare un’opera d’arte visiva?
Tornando alla musica, essa ha il potere di modificare la nostra percezione e si diverte a inviarci messaggi illusori sullo scorrere del tempo. Ascoltando Palais de Mari del compositore americano Morton Feldman, ad esempio, riceviamo la netta sensazione di galleggiare in un liquido amniotico, o di trovarci immersi in una dimensione onirica, in cui presente e passato si confondo.
Ci sono composizioni, pensiamo alla Berceuse di Chopin, fra le pagine più visionarie e innovative del compositore polacco, in cui il tempo sembra fermarsi, e altre – come Coloana Infinita di György Ligeti – in cui la vertigine della scrittura ci regala l’illusoria sensazione di una corsa dentro o contro il tempo. Ascoltare la musica diventa così un viaggio nel nostro spazio interiore.