Musica e...
Maestro, cosa c'entra il calcio con lo spartito?
«Serve a tutti»: l’universalità dell’arte, la sua carica eversiva, la sua vicinanza alla vita reale
LA RUBRICA SETTIMANALE DI EMANUELE ARCIULI DEDICATA ALLA MUSICA SULLE PAGINE
DELLA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
Un martedì pomeriggio di qualche tempo fa ero in Conservatorio a far lezione, come succede ormai da tanti anni. Un mio giovane allievo, prima di cominciare a suonare, si è voltato verso di me con una certa gravità e mi ha detto: «Maestro, vorrei capire cosa c’entra, esattamente, il calcio con la musica classica, e come si colloca nella sua esperienza di musicista».
Non era una domanda scherzosa, per quanto il ragazzo possieda il dono dell’ironia. Va detto che, un po’ per mettere gli studenti a proprio agio, un po’ per dare concretezza alle indicazioni espressive delle partiture, mi capita di fare esempi tratti dalla vita reale, incoraggiare i giovani pianisti ad attingere ai loro stati d’animo, che siano di ansia, rabbia, gioia o rimpianto, e qualche giorno prima devo aver suggerito all’allievo qualcosa che aveva attinenza col calcio (cioè col Bari: per me calcio e Bari calcio sono la stessa cosa).
Ma non avevo fatto i conti col fatto che, a quindici o sedici anni, i ragazzi che studiano musica seriamente la considerano un’esperienza totalizzante, che non ammette eccezioni.
La domanda mi ha fatto riflettere, perché è difficile spiegare a un giovane che sdrammatizzare non significa dissacrare, e che ognuno di noi musicisti, per quanto animato da grande passione, è innanzitutto una persona; con entusiasmi, debolezze e curiosità che non possono limitarsi ad una dimensione (in questo caso il pianoforte). E poi, se un musicista non vive, occupandosi anche di altro, non coltiva altre emozioni e altri interessi, avrà ben poco da comunicare quando suona, e non saprà leggere «oltre» le note; esistono gloriose eccezioni a riguardo, ma si tratta, appunto, di eccezioni.
È grazie a questo spunto offertomi dal mio allievo che ho risposto con entusiasmo all’invito della «Gazzetta» di pubblicare, con cadenza quindicinale, un piccolo quaderno di appunti che quasi sempre partiranno dalla musica - o ci arriveranno - perché musica e arte sono imprescindibili dalla (mia) vita; ma guardando anche altrove. Vorrei dire, forte e chiaro, che un musicista «classico» non è semplicemente il conservatore di un museo (il che già sarebbe una gran cosa), ma è molto di più e molto altro.
L’arte in generale, e la musica in particolare, è una cosa viva, anzi è la vita per eccellenza, perché resiste al tempo, persino alla morte del suo creatore, e della morte è un’esorcizzazione, laica e universale. Ma, perché la musica abbia un senso non solo per chi la fa e per lo sparuto drappello di abbonati delle stagioni concertistiche, ma per tutti, è necessario coniugarla con la vita reale. Il che non significa banalizzarla, tanto meno ridurne il valore, la complessità o la carica eversiva, ma non averne paura, e guardarla come una cosa pulsante, attuale e molto spesso piacevole. Per questo cercherò di parlare di musica - del passato e soprattutto del presente - ma guardando anche in altre direzioni. Per scoprire che senza un altrove la musica perde la sua forza comunicativa. E la sua necessità.