Emergenza sociale
Quel ghetto va chiuso: l'appello dopo la tragedia a Borgo Mezzanone
Le richieste si ripetono dopo ogni tragedia tra gli «invisibili». C’è un piano di demolizione in atto da 18 mesi
FOGGIA - La richiesta è unanime: chiudere il ghetto. Si ripete in occasione delle tragedie in serie nella baraccopoli di borgo Mezzanone, la più grande del Foggiano con i suoi oltre mille «residenti». Le istanze per demolire e sgomberarla - peraltro è in atto dal febbraio 2019 un pano in tal senso, fermatosi a luglio di un anno fa - si sono susseguite dopo il quarto morto in 18 mesi, a causa dell’ennesimo incendio - sino ad oggi avvenuti sempre per cause incidentali - che è costato la vita a Mohamed Ben Ali, 34 anni, detto Bayfall, senegalese di 37 anni, bracciante e venditore ambulante: il nome è stato reso noto da conoscenti e associazioni, la Polizia attende riscontri per l’identificazione ufficiale. Il suo nome si aggiunge a quelli di Backary Secka, 34 anni del Gambia, morto il 4 novembre 2018 per le ustioni riportate 3 giorni prima; di Samara Saho , altro gambiano di 26 anni, il cui corpo carbonizzato venne rinvenute tra le macerie la notte sul 26 aprile 2019 dopo un rogo che distrusse la baracca dove dormiva; e quello di una giovane africana forse nigeriana e non ancora identificata ufficialmente, deceduta in ospedale il 6 febbraio, 48 ore dopo essere estratta dalle macerie della sua casupola con ustioni sull’80% del corpo.
Backary, Samara, la giovane africana in attesa di identificazione e ora Mohamed: bisogna ricordarli i nomi di chi vive in condizioni degradanti in un ghetto che molti - cardinali, ministri, sindacalisti - hanno definito terra di nessuno dopo averlo visitato; in una ex pista aeroportuale dove bande gestiscono gli accessi; i giri di prostituzione e droga, e quelli di caporalato. Un ghetto che il piano «Law and humanity» - prevede il sequestro dell’autorità giudiziaria degli immobili abusivi e la contestuale demolizione con le ruspe su provvedimento della prefettura, e lo sgombero dei residenti - si propone di attuare da un anno e mezzo pur essendosi fermato 11 mesi fa, dopo 4 interventi e l’abbattimento di 74 case e l’evacuazione di 120 stranieri.
«Non è più accettabile che in Italia ci siano donne e uomini invisibili» ha scritto su Facebook il ministro per le politiche agricole Teresa Bellanova riferendosi all’ennesima tragedia nel ghetto: «bisogna mettere la parola fine a tutto questo, passando dalle dichiarazioni alla concretezza». «I ghetti vanno chiusi e bisogna garantire» ha detto Fabio Ciconte dell’associazione Terra «abitazioni vere ai residenti: la regolarizzazione approvata col “decreto rilancio” contiene un passaggio chiave su questo punto perché chiede ai prefetti di organizzare soluzioni abitative consone per chi vive in condizioni inumane e degradanti». «Siamo di fronte all’ennesima morte annunciata» dice Davide Fiatti segretario nazionale Flai-Cgil «di cui esistono i responsabili perchè i ghetti vanno chiusi. Il ghetto di borgo Mezzanone, come altri non luoghi, non sono degni di un Paese civile e moderno che ha il dovere dell’accoglienza e del rispetto delle persone. Persone di cui alcuni si accorgono solo quando mancano le braccia per lavorare nei campi».
«È una notizia insopportabile la morte di un ragazzo in una baraccopoli la cui stessa esistenza certifica la resistenza dei potere dei caporali» scrive Erasmo Palazzotto deputato di Leu. «È morto un altro lavoratore costretto a vivere in un ghetto dallo sfruttameno lavorativo e soprattutto dall’ipocrisia di scelte politiche che continuano a non riconoscere alle persone il diritto di esistere e le obbliga all’invisibilità: è imperativo superare i ghetti perché la morte di Bayfall non è una fatalità ma la conseguenza dell’attuale stato delle cose», la denuncia di Alessandro Verona cooridnatore medico dell’organizzazione umanitaria Intersos. Nicola Fratoianni, portavoce nazionale di Sinistra italiana, sollecita «misure più coraggiose e universali per il riconoscimento dei diritti dei migranti». «Il ghetto di borgo Mezzanone rappresenta uno dei più grandi mercati di braccia della Puglia nel quale vigono le leggi del caporalato e della riduzione in schiavitù» scrive il Partito comunista pugliese. Mentre il consigliere regionale del Pd Paolo Campo rimarca come tutte le istituzioni e le imprese che utilizzano i braccianto «sono chiamate a avvalorare i diritti dei lavoratori con il rispetto dovuto alle persone e l’ossequio dovuto alle norme».