La panchina
Quel tempio di mezzo tra le fronde e le radici
L'albero, flessuosamente sen- suale, è fatto a quote: dalle fronde alte che suonano mu- sica in combutta con il vento ai rami che ondeggiano nell’aria fino a certe proboscidi di legno che atterranno sul terreno e si fanno da rami che erano nuove radici, nuovi ricominciamenti. Il signor Acciuga non ha bisogno di guardarlo, perché lo sente; ne avverte la sua duplice natura sia di ficus sia di magnolia; ne contempla il suo stare nel tempo dandogli una forma polifonica dove l’intrico esiste certo, ma sa sciogliersi in figura aerea e pie- namente leggibile; e soprattutto ne ammira la sua stanzialità che non significa che l’al - bero sia immobile, al contrario ha fremiti e linfe e scorrimenti di energia continui seb- bene mai del tutto a vista. La Villa che gli è cresciuta vicino lo ri- spetta: architettura fatta di geometrie li- berty si accosta ad ar- chitettura arborescente e insieme di- segnano una città nella città, una Pa- lermo solitaria e raminga, che tiene lontano da sé per quanto può gli abusi cementizi e gli strepiti e le vastaserie. È stato l’uomo del sale a dar fiducia ad Acciuga; davanti al cancello che sembrava chiuso e inaffrontabile gli ha fatto un cenno alzando il mento e facendo degli occhi due fessure, men- tre con una mano spingeva un’anta cigolante che permetteva alle squame d’infilarsi nel breve spazio e con l’altra mano disegnare un ciao nell’aria. È raro che il normanno di Palermo si sposti dal suo luogo; e quando lo fa, come in questo caso, lo fa solo per il tempo necessario a compiere una ben determinata azione. Quando è a Palermo è al cospetto dell’albero che il signor Acciuga ama passare le sue notti. Sceglie sempre un ramo a metà quota che sa accoglierlo facendogli da panchina-giaciglio; dopo aver sistema- to sul prato le parti del corpo non necessarie al sonno, fa un piccolo salto e si assesta in quel regno di mezzo dal quale può puntare gli occhi verso l’alto delle fronde o verso il basso delle radici, ben sapendo che l’albero sa ribaltare le prospet- tive a seconda degli stati d’animo e delle stagioni e delle neces- sità del momento. Mettere pelle e squame a contatto con la sostanza legnosa dell’albero è per Acciuga insieme un rito ma anche uno scambio d’infor - mazioni mute. Lui porta ai rami e alle foglie e ai fiori la notizia del mare, del suo mu- tevole e metamorfico prendere forma e perderla e di nuovo riacquistarla, sem- pre alla ricerca di una chiarezza e di una trasparenza che sebbene di con- tinuo messa a repentaglio non viene mai dismessa; l’albero porta a lui la notizia di cosa sia la linfa che sa scorrere anche dove sembra non ci sia spazio e che sa vedere anche nella cecità assoluta e che ha la pazienza del sostare e dello stare così tanto in silenzio da fare del silenzio un tem- pio. Se il signor Acciuga dovesse dire quel che la presenza dell’albero gli suggerisce, direbbe: ecco un tempio che non ha avuto bisogno di mani per costruirsi; un tempio nato per gem- mazione e per diramazioni impreve- dibili e insospettate. Un tempio vuoto di religioni e di dei, ma pieno di saggezze e di capacità regale d’accogliere. Ogni volta che il signor Acciuga si assesta sul ramo leggermente oscil- lante nel buio della notte è questo che avverte; lui si sente accolto e come abbracciato; la sua panchina-giaciglio prende una morbidezza che il legno non farebbe sospettare; e il sonno viene in soccorso come un mondo che sta dietro le palpebre e che aspetta solo di essere richiamato in vita dalla quiete stormente dell’albero. E anche il cadere di una foglia, lo strisciare di un serpente, lo zampettare di paparella, lo scendere lento di una goccia, invece d’interrompere il si- lenzio lo intensificano; diventano sti- moli perché sia nella mente di Acciuga sia in quella dell’albero si producano immagini, velari di solito incompresi che invece si schiudono come fiori nuovi e fosforescenti. Il signore del sale, non lontano, sistema i suoi sacchetti sulla carroz- zina e sembra quasi che li culli come pargolini che hanno bisogno di esser incoraggiati a splendere, come segreti nella notte.