La Panchina
Padri, figli e il miracolo «benedetto» dal vino
In tempi nei quali si scava un solco profondo di silenzio la festa potrebbe essere definita sontuosa e sentita
Sono un padre e un figlio, nessun dubbio. Il signor Acciuga li guarda seduto sulla sua sedia-panchina collocata ad arte proprio al centro di una trattoria romana.
L’oste e il suo scudiero gli hanno lasciato un tavolino che ha una sedia vuota sulla quale, quando vuole e se lo vuole, può distendere le pinne-gambe.
Agli altri tavoli, una coppia male assortita di spagnoli, lui scuro e ombroso, lei chiara e con il sorriso; due amici già avanti negli anni entrambi in jeans, il primo con una bella pancia e il secondo con dita che suonano note sulla tovaglia di carta; un terzetto in bella armonia che fa suo il vino rosso dei Castelli e lo fa scendere vermiglio nelle gole; un gruppetto di francesi con bambini a far domande sul menù, con gli adulti scrutatori nei piatti degli altri per trarne ispirazione, facendone uso d’indice per dire: come quello, come questo.
Lo scudiero volteggia tra i tavoli, portando pietanze precise e ben nette, misurate e golose.
L’oste sparecchia quando un turno finisce e ne arriva un altro e Acciuga ascolta il rotolìo della tovaglia di carta fatta fuori dal tavolo e lo scivolìo della nuova che senza macchie squittisce dispiegandosi sulla superficie pronta ad accogliere gomiti mani stoviglie bicchieri e pietanze.
Il padre e il figlio sono seduti in diagonale, uno a un lato l’altro al lato opposto. Ma la loro non è distanza.
Il signor Acciuga nota che solo il figlio ha nero sul bianco della tovaglia un cellulare. Ma non ne fa uso. Il padre parla o ascolta. Il figlio ascolta o parla. Si dicono parole che sono simili ad utensili. Servono ad entrambi per edificare connessioni.
Il figlio porta gli occhiali; dev’essere uno studente fuorisede. Il padre sarà venuto a trovarlo per capire sentire condividere.
Quando il figlio dice qualcosa che lui si aspetta o spera che venga fuori dalla sua bocca, il padre annuisce con le dita.
Fa segno di approvazione; distende i tratti del viso; alza il calice rossigno e lascia scendere un sorso sanguinolento. Un gesto simile compie il figlio. In vino veritas per entrambi
Per il signor Acciuga è una festa inaspettata. Fa fuori il suo pasto con delizia e dovizia.
La coppia spagnola ha ordinato una bistecca a testa e un Chianti da far riposare in bottiglia prima di farlo scendere in gola a sorsi bizzarri.
Lei chiara e con il sorriso prova parole italiane che designano cibi, forse letti nel menù.
Dice: polpetta, e ne disegna la forma con le dita. Lui scuro e ombroso fa un movimento con le spalle.
Forse pensa, distratto com’è, che lei abbia sbagliato ordinazione, mentre invece ha solo accolto lo scudiero - il piatto e il coltello adatto alla bisogna -, con una bella esclamazione di gioia.
Il figlio adesso manda giù un sorso cospicuo di rosso.
Il padre è appena tornato dal bagno e, spostando il giubbotto, gli si è seduto di fronte.
Sono vicini, si somigliano, il più giovane ha tutti i capelli, mentre il più anziano ne ha perso qualcuno, ma non si potrebbe dire che sia calvo.
Il signor Acciuga osserva la differenza coraggiosamente simile che corre tra i due. Gli sembrano due fiumi che convergono verso lo stesso mare.
In tempi nei quali tra padri e figli si scava un solco profondo di silenzio e sia da parte sia dall’altra la fanno da padroni i bip e i trip dei cellulari, la festa del signor Acciuga potrebbe essere definita sontuosa, sentita, sensuale.
Gli astanti della trattoria ruminano le loro pietanze, ignari del miracolo che si compie. L’oste e il suo scudiero hanno appena incassato il tot spettante del conto.
Il padre, alzandosi, s’infila un giubbotto smanicato. Il figlio lo segue fuori dalla trattoria. Anche lui s’infila per strada con lo stesso gesto del padre un identico giubbotto.
Il signor Acciuga li vede scomparire dalla vetrina della trattoria, dove è esposto un menù scritto a mano su una lavagnetta.
Le sue pinne-piedi tornano sotto la sedia sulla quale è seduto in bilico tra parte sinistra e parte destra. Oscilla, sembra scivolare, poi si assesta.
Pensa ai figli, al raro far figli di oggi, a sé solitario al centro della trattoria; una goccia di vino gli scende scintillante di rosso dal bordo delle labbra curvate all’ingiù.