Diario di classe
A scuola parliamo anche di benessere
Fingiamo di credere che esista un benessere psico-fisico alla portata di tutti, e ce ne convinciamo mentre assistiamo immobili alla deriva del mondo che conoscevamo
In uno dei tanti incontri che si celebrano a scuola per l’interesse degli studenti e non solo, qualche giorno fa ci si è fermati a riflettere sul tema del benessere, che quale che sia oggi, si fa sempre più fatica a declinare. Fingiamo di credere che esista un benessere psico-fisico alla portata di tutti, e ce ne convinciamo mentre assistiamo immobili alla deriva del mondo che conoscevamo.
Il nostro benessere che sembra dover passare dal conteggio delle calorie e da estenuanti sessioni in palestra, altrove è difficilmente spiegabile.
Dunque, cosa si intenda oggi per benessere, difficile dirlo.
Ciò che facciamo è mantenere un po’ di quel necessario senso di gravità, capace di tenerci in piedi senza sapere ancora per quanto. Qui da noi, si riparla di ripristino della leva militare e di riarmo.
Il benessere dei nostri ragazzi non sembra essere tra le priorità della politica. E allora parlarne, fingere che sia un tema all’ordine del giorno, fa sorridere, anzi mette in soggezione tanto appare dissonante. La verità è che fatichiamo a trovare risposte sensate alle domande dei nostri figli e dei nostri studenti, perché incapaci di trovare argomenti convincenti per mantenere anche il più sparuto senso di fiducia nell’anno che verrà.
E allora che sia di un qualche benessere, che fingiamo di occuparci, con onestà dovremmo prima fare i conti con questa stagione pericolosamente incerta in cui assistiamo, senza esserci ancora resi conto, a dibattiti su scenari da guerra nucleare che pensavamo sarebbero resistiti solamente nelle trame da film di fantascienza.
La certezza della pace e del benessere per tutti è la dote andata persa. Ciò che rimane è un benessere diverso ad ogni latitudine, in questo tutto è rimasto come sempre. Lo scriveva Valerio Magrelli in una poesia del 1999, ancora attualissima:
Il confine tra la mia vita e la morte altrui
passa dal divanetto di fronte alla tv,
pio litorale dove si riceve
il pane dell’orrore quotidiano.
Davanti all’ingiustizia che sublime
ci ha tratti in salvo per farci contemplare
il naufragio da terra,
essere giusti rappresenta
appena la minima moneta
di decenza da versare a noi stessi,
mendicanti di senso,
e al dio che impunemente
ci ha fatto accomodare sulla riva,
dal lato giusto del televisore.
Nulla da aggiungere, siamo ancora dal lato giusto del televisore. Oggi.
Restano però una infinità di domande in attesa di risposte.
I miei ragazzi vorrebbero sapere per quanto tempo ancora. E se ci sarà anche da noi quel temuto cambio di punto di vista.
Aspettiamo risposte. Vorremmo, domani, e ancora e ancora, interrogarci sul benessere.
Ma che questa volta possa divenire giusto e condiviso. Perpetuiamo, forse un po’ ingenuamente, il desiderio di poter essere tutti seduti dalla parte giusta del televisore. Ancora e ancora.