Roma Sud

Mitologia «bestiale» del Grande raccordo

Liborio Conca

Un cerchio irregolare ma non troppo che corre lungo quasi 70 km, senza tuttavia riuscire a contenere la Capitale

Una parte consistente della mitologia romana più recente ha senza dubbio a che fare con il gigantesco anello d’asfalto che circonda la città; un cerchio irregolare ma non troppo che corre lungo quasi settanta chilometri senza tuttavia riuscire a contenerla del tutto, perché lei esonda, gronda, deflagra oltre, aggrovigliandosi e raggrumandosi tra campagne, litorale, colline, capannoni, centri commerciali spuntati come funghi tra gli anni Ottanta e i Duemila.

I lavori per il Grande Raccordo Anulare iniziarono nell’autunno del 1946, davvero una delle primissime grandi opere della giovanissima Repubblica emersa dal disastro della guerra. Il centro ideale dell’anello fu collocato sul Miliario aureo, una colonna nei pressi dei Fori imperiali che era già stata la convergenza ideale delle strade consolari nell’antica Roma. Una circostanza dalle tinte esoteriche, ma non la più singolare. Perché non tutti sanno che il GRA è stato progettato dall’ingegnere Eugenio Gra, all’epoca direttore generale dell’Anas, e che dunque la dicitura Grande Raccordo Anulare è una rara forma di acronimo sviluppatosi al contrario.

I primi tratti vennero inaugurati velocemente, cinque anni dopo l’avvio del programma; eppure l’opera è infinita, considerando la mole di manutenzioni e interventi necessari per tentare di addomesticare la scalmanata bestia urbana dentro la pretesa razionalità geometrica di un cerchio. Parallelamente, negli anni è fiorita tutta una letteratura GRA-centrica, un florilegio di film, libri, reportage, canzoni, un repertorio che tiene assieme maledizioni e metafisica, antropocene e ironia dirompente.

Dieci anni fa Gianfranco Rosi vinse a Venezia il Leone d’oro con Sacro GRA. Il racconto passa in rassegna scene di vita reale che scorrono intorno al Raccordo: un botanico con la missione di preservare un’oasi di palme, un pescatore di anguille nel Tevere; nobiltà decadente a Roma Nord e poi un barelliere pronto a soccorrere le vittime dei tantissimi incidenti che occorrono sulla strada. Lo scrittore Walter Siti ha invece raccontato Roma Las Vegas, una zona della città ai limiti del Raccordo che si è via via riempita di casinò d’accatto e sale slot con vistose insegne al neon e umanità variegata al suo interno. Non avrà vinto premi ma ha fatto incetta di applausi e ascolti Grande Raccordo Anulare, la parodia che Corrado Guzzanti ha dedicato anni fa a Venditti celebrando l’anello che circonda la città. «Adesso c’è Sabbrina/ che lavora all’Autogrill / dove faccio er pieno de bbenzina / pe’ fà ‘n metro sulla Tibburtina».

Ripensavo alle bestia anelliforme che tenta di abbracciare Roma mentre pochi giorni fa percorrevo la linea violentemente ricurva della Tangenziale di Bari, anche lei sottoposta a interventi e allargamenti, bretelle, svincoli e uscite che promettono di adeguarla alla nuova stagione di sviluppo pugliese. Non può essere un cerchio, a circondare Bari, altrimenti destinato a immergersi in larga parte nell’Adriatico; né questa linea ha lo schema selvaggio e folle del GRA; eppure ci ritrovi allo stesso tempo un certo grado di bellezza, quando la strada sfuma verso gli uliveti e le spiagge a sud di Bari, da Torre a Mare in giù, con la Tangenziale che torna a essere la statale Adriatica srotolandosi fino a Brindisi e poi Lecce.
E anche una propria mitologia, nei baracchini che vendono frutta ai margini dell’asfalto o nei pedoni che scavalcano i guardrail all’altezza dello stadio; l’astronave di Renzo Piano che domina sulla pianura a Ovest di Bari, gioiello luminoso nelle notti sulla tangenziale mentre sciami di pugliesi e ormai frotte di turisti riempiono le strade diretti verso i locali e i lidi che luccicano d’estate.

 

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