Lavoro

Landini a Bari per Stati Generali Cgil: «Ripresa, ma non sappiamo se duratura»

Leonardo Petrocelli

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Il segretario generale ha parlato anche della scuola e dell'imminente referendum

BARI - Il messaggio che filtra con prepotenza è uno solo: altri treni non passeranno, il momento del cambiamento è adesso. La Cgil pugliese serra i propri ranghi per lanciare una sfida che è regionale solo di nome, ma nazionale di fatto. Gli Stati generali del sindacato rosso, svoltisi ieri al Petruzzelli di Bari, alla presenza (reale e virtuale) di quattro ministri, hanno infatti il sapore di una scossa. Una scossa «di parte», come affermerà a chiare lettere il segretario nazionale Maurizio Landini, tutta orientata al rilancio del welfare e a una conversione attiva del ruolo dello Stato in una economia sempre più etica e sostenibile.
Le tesi si incrociano, così come le notizie e i riferimenti alla cronaca politica, anche per merito di un Nichi Vendola in grande spolvero. Al microfono si alternano i ministri Giuseppe Provenzano (Sud), Francesco Boccia (Affari Regionali) e Nunzia Catalfo (Lavoro). In collegamento video Stefano Patuanelli (Sviluppo economico) e la vicepresidente dell’Emilia Romagna, Elly Schlein (assente invece il sindaco Decaro). E ancora, monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e delegato della Cei per lavoro e ambiente, cui spetta il compito di lanciare, pur nel mezzo del dibattito, la premessa di tutto. E cioè «l’arrivo della tempesta perfetta: povertà, riduzione dei posti di lavoro, crisi ambientale. Un tornado - riflette - che sta per investirci e qui nessuno si salva da solo o inseguendo un unico disegno». Al segretario regionale della Cgil, Pino Gesmundo, il compito invece di illustrare le sette proposte di cambiamento (elaborate con l’ausilio dell’economista Michele Capriati, coordinatore dei lavori), a Landini quello di tirare le fila di un discorso lungo e articolato. Proprio Gesmundo snocciola le priorità del sistema Puglia, dalla logistica, alla portualità, al raddoppio della Termoli-Lesina fino all’integrazione del sistema idrico e a un nuovo piano per le politiche socio-sanitari. Porte aperte al Mes («non sono risorse a cui rinunciare a cuor leggero») con un auspicio generale sullo sfondo: «Al Mezzogiorno servono politiche che adottino una strategia di sviluppo di lungo periodo con una visione centrata sulle nostre peculiarità».

Piovono così suggerimenti, spunti, idee. Ma anche annunci. Patuanelli, affascinato dall’idea di una nuova Iri, afferma che convocherà i sindacati la prossima settimana per discutere dell’utilizzo del fondi europei: «Abbiamo pochi assi di intervento come Mise - spiega - : digitalizzazione, supporto a transizione energetica e rafforzamento del sistema produttivo, penso a tutto il pacchetto 4.0, il tempo non gioca a nostro favore, vogliamo essere pronti il 15 ottobre, i giorni non sono molti». Il cuore della partita è tutto qui. Sono le risorse europee, variamente intese, a costituire il motore di quel cambiamento a lungo invocato. Per questo - nel pensiero dei protagonisti - o il treno si prende adesso o non si prende più.
Su come impiegare le risorse non mancano i terreni di comune confronto: rilancio della produzione industriale, politiche sociali, difesa della unità nazionale. E poi ancora innovazione tecnologica e contrasto all’emergenza climatica. Provenzano rivendica il ruolo attivo del governo nella difesa degli interessi meridionali, tranciando però alcune sortite dei suoi colleghi di governo: «Non voglio citare il ponte sullo stretto di Messina su cui si esercita la fantasia di alcuni: dopo il ponte ci sarà il tunnel, poi le piste ciclabili e i monopattini. Spero nessuno proponga la funivia o la catapulta». Liquidato il tema, il ministro procede con gli argomenti più forti della propria azione politica: il piano per il Sud e la fiscalità di vantaggio introdotta dal decreto Agosto. Landini, però, mostra perplessità: «Gli sgravi non sono sufficienti, servono investimenti. E comunque ne deve beneficiare chi rispetta i contratti nazionali».

Un punto, quest’ultimo, su cui la Cgil non arretra. Anzi, rilancia: «Lo diciamo alle imprese e a Confindustria: è il momento di rinnovarli, non di bloccarli. Serve un nuovo statuto dei diritti dei lavoratori». Sull’unità nazionale si concentra invece l’analisi di Boccia che rievoca l’autonomia differenziata, chiarendone i paletti: «Come ribadito anche dal Presidente della Repubblica restano centrali il principio di sussidiarietà e il finanziamento integrale dei Lep. Le risorse europee devono servire a ridurre le disuguaglianze». Al momento, però, non si tratta solo di rilanciare, ma anche di difendere. O meglio, continuare a difendere. Catalfo annuncia la riforma della Cig entro fine mese sottolineando come «ci sarà una differenza tra agli ammortizzatori che andranno a un’azienda che possiede una prospettiva e quelli destinati a chi si avvia alla chiusura». Grande spazio poi alla detassazione dei rinnovi, all’utilità dello smart working nella salvaguardia di molti posti di lavoro, fino alla formazione immaginata come «il motore per far riprendere una occupazione comunque in risalita».

Difficile, però, tener fuori da tutto questo la politica. Se sul referendum la maggioranza Pd-M5S guarda al «sì» mentre la Cgil lascia libertà di voto ai propri iscritti, è sulle Regionali che si consumano le affermazioni più vibranti (tra i candidati, presente in platea solo Antonella Laricchia. Emiliano era a Foggia per l’ultimo saluto al giovane volontario travolto sulla A16). È Vendola ad aprire le danze con un duro affondo contro Raffaele Fitto: «È la preistoria. Quando governava, la Puglia non era nemmeno sulle carte geografiche, è stato il centrosinistra a rivelare la regione al mondo con un’idea di futuro. E non con idee di ramificazioni di clientele». Da parte sua, l’ex governatore, schierato per il no al referendum, ammette gli errori dei progressisti pugliesi e romani («abbiamo sbagliato tutti, anch’io»), ma loda il governo Conte e non chiude a un possibile ritorno in politica: «C’è bisogno di riportare milioni di persone ad appassionarsi. Tutti devono fare qualcosa, me compreso». Boccia, invece, torna sulla mancata intesa pugliese con Iv e, soprattutto, con il M5S ricordando «che, se dopo le primarie, io e Nichi ci fossimo divisi la primavera pugliese non sarebbe mai nata».

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