L'omicidio di 28 anni fa
Foggia ricorda il caso irrisolto di Francesco Marcone: deposta una corona
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Ritardi e poche ipotesi: Marcone era il direttore di una delle articolazioni territoriali dello Stato più importanti per le verifiche fiscali
La Giustizia s’è arresa. La memoria no. E’ lì a ricordare la sconfitta della Giustizia, anche stavolta Dea bendata non per imparzialità ma per cecità e incapacità di dare nomi, volti e condanne a mandanti e killer di Francesco Marcone, direttore dell’Ufficio del registro ucciso a 57 anni nel portone di casa in via Figliolia il pomeriggio del 31 marzo ‘95. Impunità che non sorprende, vista la classifica del 2022 con la provincia di Foggia al secondo posto in Italia per numero di omicidi irrisolti.
Marcone morì 28 anni fa tornando dalla moglie e dai due figli dopo una giornata al lavoro al palazzo degli uffici statali, a leggere fascicoli per scovare i furbetti che cercavano di frodare il fisco sottraendosi alle imposte e/o inventandosi agevolazioni inesistenti. Morì senza sapere perché. Senza poter guardare il volto della morte che vigliacca gli sparò 2 revolverate alla schiena. Senza “confrontarsi” giusto per un attimo faccia a faccia con il sicario e chiedersi magari chi avesse raggirato la Legge, regolando i conti con chi l’aveva scoperto o rischiava di smascherarlo.
L’inchiesta Marcone parla di impunità; ritardi investigativi; ipotesi senza riscontri su un delitto forse figlio di un intreccio affaristico-malavitoso che ruotava intorno al mattone, al mondo dell’edilizia. Tre indagati a piede libero e 2 due piste poco concrete. La prima portò a luglio ’96 a 2 informazioni di garanzia per omicidio a un imprenditore-ex consigliere provinciale e un alto funzionario del ministero delle Finanze, immaginando (parola giusta, il gip archiviò perché l’ipotesi era priva di consistenza) che Marcone fosse stato ucciso in quanto intenzionato a disporre verifiche fiscali sulla compravendita di un terreno ceduto dall’imprenditore a un costruttore, e che il proprietario del suolo fosse stato informato dal funzionario statale dei possibili accertamenti voluti dal direttore del Registro. La seconda pista imboccata anni dopo, partiva da una prova “scientifica”: il revolver calibro 38 marca Gamba che uccise Marcone e mai trovato, faceva parte di un lotto di armi di cui una guardia giurata aveva forse simulato il furto, cedendole a un ex impiegato del Registro che forse nutriva rancore nei confronti della vittima, e amico di un malavitoso forse contiguo alla mafia foggiana: pista così fumosa che già a raccontarla si smonta davanti a tutti questi forse. A maggio 2001 all’ex impiegato fu notificata un’informazione di garanzia per omicidio; in un’intervista alla Gazzetta escluse qualsiasi coinvolgimento nel delitto; morì a febbraio 2002 in un incidente con la moto (autopsia e accertamenti disposti per fugare dubbi su un ipotetico omicidio mascherato confermarono che fu una tragedia della strada); inchiesta archiviata.
L’ombra della “Società foggiana dietro l’agguato ha attraversato l’indagine senza approdare sui tavoli della Dda perché nulla di concreto ne giustificasse la competenza a investigare. Antonio Catalano, killer della mafia pentito a gennaio 2004 dopo un arresto per omicidio, disse d’aver sentito che il costruttore… aveva pagato 500 milioni di lire al boss… per far uccidere Marcone. Sentito dire senza prove, senza solidità, senza effetti.
Cosa resta quindi se non la memoria a 28 anni dalla morte di un servitore dello Stato? La memoria ricorda, ad esempio, i due anni di tempo persi per scoprire attraverso una consulenza balistica che il revolver dell’omicidio fu usato 2 anni prima per sparare contro la porta di casa di un superiore di Marcone, intimidazione rimasta a opera di ignoti. La memoria non va via, a ricordare la sconfitta della Giustizia.