Tour del gusto
Il pane di Altamura punta all’Unesco
La magia del forno Santa Caterina attivo dal 1391
La crosta fragrante, la mollica morbida, l’aroma di cottura a legna e il sapore inconfondibile. È il Pane di Altamura, prodotto DOP dal 2003 (Denominazione di Origine Protetta) candidato ad essere riconosciuto Patrimonio Immateriale Unesco.
Una valorizzazione planetaria per uno dei simboli gastronomici più rappresentativi della Puglia, nato e lavorato nella città bandiera del pane. Un traguardo importantissimo per un emblema della tradizione alimentare e identitaria pugliese, la cui qualità e autenticità è assicurata dal rispetto di un disciplinare di produzione rigoroso. Fra le caratteristiche dell’originale pagnotta DOP, infatti, ci sono la pezzatura (non inferiore a 0,5 Kg), lo spessore della crosta di almeno 3 millimetri, la mollica color giallo paglierino, il profumo caratteristico, l’umidità non superiore al 33 per cento, ma anche l’etichetta completa di tutti gli ingredienti e comprensiva del contrassegno con la denominazione.
Dettagli e tecnicismi oggi noti ai più, ma che vent’anni fa tre ragazzini di Altamura non potevano di certo immaginare quando si fermavano nel più antico forno del borgo barese, il “Forno Santa Caterina dal 1391”, per comprare il pane e “la buonissima brioche con lo zucchero” da portare a scuola. Ormai adulti, l’avventura di Giuseppe Continisio, Giacomo Barattini e Roberto Loporcaro, «intrapresa un po’ gioco e diventata poi una storia bellissima» è iniziata proprio in questo forno altamurano. «Un successo pazzesco e inaspettato», racconta Giuseppe, trent’anni, commerciante e distributore di frutta: «Quando un giorno, passando di lì, ho visto che il forno dove andavamo da piccoli era ancora chiuso, ho avuto un’illuminazione. Ho chiamato a raccolta i miei compagni e ho proposto loro di rilevarlo. Hanno accettato subito, in fondo se chiudiamo gli occhi ricordiamo ancora oggi il profumo del pane e delle brioche. Siamo legati alla nostra terra e abbiamo voluto farle un dono restituendole un pezzo della sua storia». Insieme a Giacomo e Roberto, rispettivamente funzionario ministeriale a Roma e operatore contabile, Giuseppe concretizza il suo sogno: «Abbiamo contattato l’anziano proprietario e gli abbiamo detto che volevamo far rinascere il forno Santa Caterina. Inizialmente era un po’ perplesso, avrebbe forse preferito affidare l’attività a qualcuno del mestiere, perché noi non capivamo niente di pane. Ci abbiamo messo sette mesi a convincerlo, la nostra determinazione è stata fondamentale. Oggi è contentissimo», spiega il giovane fornaio.
L’antico forno di Altamura ha così riaperto i battenti in tutto il suo splendore lo scorso giugno, seguito e affidato alla consulenza di bravissimi professionisti della materia che hanno scritto insieme ai titolari un percorso imprenditoriale fatto di recupero della tradizione all’insegna della qualità, a partire dalla selezione delle migliori farine locali e dell’olio extravergine d’oliva di Altamura: «Assicuriamo la filiera corta, con prodotti a chilometro zero, essenziale per la produzione di una DOP», racconta. Una pagina di successo per un intero territorio, una storia di speranza per i giovani che vogliono investire energia, tempo e risorse nella regione in cui sono nati. I prodotti tipici della Puglia sono il miglior biglietto da visita e dalla loro valorizzazione passano opportunità sempre più importanti. «Un successo incredibile; ci chiamano dalle radio, dalle tv italiane ed estere, la nostra pagina Instagram conta più di 80mila follower, merito anche di Graziella, la signora che per noi prepara le orecchiette e le focacce». Complice la storicità del forno e l’innata simpatia, Graziella è diventata una vera star e, sulla scia del successo di Nunzia di Bari, anche lei è molto richiesta per selfie e video instragrammabili che raccontano una Puglia sempre più amata e apprezzata per le sue radici e l’autenticità. «Pensate che una ragazza australiana arrivata in Puglia in vacanza quando ci è venuta a trovare e ha toccato con mano la nostra attività, ci ha confessato che sarebbe voluta rimanere due mesi con noi per imparare l’arte della panificazione», ha concluso Giuseppe, con gli occhi fieri e brillanti di chi sa di aver regalato alla sua Altamura qualcosa di bello.