Territorio

Taranto, viaggio nel Paolo VI: benvenuti nel quartiere «difficile»

Giovanna Calabrese

La vita quotidiana dalle lande della Motorizzazione alle case bianche

L’odore è la prima cosa che colpisce. Non quello del verde curato o della macchia mediterranea, ma quello acre della plastica bruciata. È così che si mostra il Parco del Mirto, simbolo di ciò che era e di ciò che resta. Un tempo punto d’incontro per famiglie e bambini, oggi ospita giochi distrutti, contatori elettrici rubati, resti di roghi accesi di recente.

Paolo VI, periferia nord di Taranto. Doveva essere un modello urbanistico: villette con giardino per gli operai dell’allora Italsider, case basse, spazio, respiro. Poi arrivarono i grandi palazzi popolari, l’espansione rapida, il cambio sociale. Le promesse non mantenute, i servizi mai completati. E infine, quell’etichetta impossibile da cancellare: “quartiere difficile”. Eppure, qui vivono oltre 20mila persone. Famiglie, lavoratori, bambini, anziani.

«Un tempo mi dicevano “Ah sì, l’avvocato di Paolo VI”, oggi se ci ripenso mi viene un sorriso: sono fiera di essere cresciuta in una realtà “difficile”». Così racconta Patrizia Boccuni - avvocata e consigliera comunale - con gli occhi pieni di luce e emozione mentre i ricordi riaffiorano nella sua mente. Nelle sue parole c'è un senso profondo di appartenenza. «Ricevo richieste per cose basilari: “Puoi far sistemare lo stop davanti alla scuola?”. Una richiesta del genere non dovrebbe nemmeno arrivare: dovrebbe essere un diritto». In lei, molti abitanti vedono un barlume di speranza. È diventata un punto di riferimento concreto, quasi un ponte tra chi vive le difficoltà del quartiere e le istituzioni spesso lontane. Nel “quartiere” è cresciuto anche l' attore e regista Michele Riondino: «Negli anni '80 questo quartiere era un campo di battaglia: attentati, bombe piazzate davanti alle caserme, sparatorie, appartamenti che esplodevano. Ma per noi bambini, quegli stessi luoghi erano campi da gioco. C’era eroina ovunque. Nascosta tra le aiuole. Era normale vederla. E questo – aggiunge – dice molto di quanto ci sia mancata la presenza delle istituzioni». Oggi, la droga non è la stessa di quegli anni, ma c'è. E i ghetti a Paolo VI hanno cambiato forma. Resistono, sotto la superficie. Dalla landa sconosciuta della Motorizzazione alle case bianche. La differenza tra zona residenziale e zona popolare esiste ancora. Ma negli anni si è livellata verso il basso: anche le villette hanno cominciato a perdere quel senso di “privilegio”. Anche lì i problemi sono gli stessi: incuria, rifiuti, silenzio istituzionale. Le strade dissestate sono ovunque. Buche, marciapiedi rotti, sterpaglie. Via Gaetano Salvemini, via Pietro Nenni, viale della Liberazione, viale 2 Giugno: tutte in stato di grave degrado. In alcuni tratti, manca perfino l’illuminazione pubblica.

In questo contesto si inseriranno due progetti di riqualificazione che verranno avviati nel 2026 dopo la conclusione delle fasi di verifica e collaudo dei progetti: il primo riguarda la riconfigurazione del piazzale davanti agli alloggi popolari di viale 2 Giugno, con nuovi percorsi pedonali, verde pubblico e illuminazione sostenibile. Il secondo, più ampio, prevede la realizzazione di una pista ciclo-pedonale di circa tre chilometri che collegherà il quartiere al Mar Piccolo e al fiume Galeso, con l’obiettivo di migliorare la mobilità interna e la sicurezza urbana. Qui arriveranno anche le Brt: la linea rossa collegherà il quartiere a Cimino. Oggi i collegamenti pubblici non sono efficienti: per raggiungere a volte serve più di un'ora tra attese e cambi di linea. «E anche questa è una forma di disconnessione - spiega don Marco Crispino, parroco della chiesa san Giuseppe Moscati -. Molti ragazzi attendono due autobus per raggiungere la scuola. Non esiste una vera strada che colleghi il quartiere al resto della città. E questo, nel tempo, ha creato un senso di esclusione profonda.

Paolo VI conta oggi quattro parrocchie, ma non ha cinema, né teatri, né centri ludici. Eppure tra viale Cannata e viale del Lavoro è quasi pronto un nuovo Mc Donald's. «Mancano servizi essenziali: un medico di base, uno spazio comunale, un presidio sanitario» racconta don Francesco Mitidieri, cappellano del carcere di Taranto e per anni parroco del Corpus Domini. Spiega che gli unici spazi pubblici presenti sono nelle cosiddette “case bianche”, dove una cooperativa gestisce un centro per minori: «Un servizio valido - sottolinea il sacerdote - ma insufficiente per le reali necessità del territorio». L’unico punto di aggregazione, spesso, resta proprio la chiesa. L’ex scuola media Ungaretti è ormai un edificio fatiscente, rifugio per tossicodipendenti. Un cumulo di macerie. All’interno fa capolino un passeggino abbandonato attorniato da siringhe, spazzatura ed erbacce che ormai germogliano tra le crepe dei muri. Da luogo di formazione a luogo senza nome.

Intanto tra le villette residenziali c'è un nuova crisi sotterranea: sono tante le famiglie che, dopo aver acceso mutui negli anni dell’impiego stabile all’Ilva, oggi non riescono più a pagare le rate. «Il lavoro precario e la cassa integrazione hanno spezzato molti equilibri» racconta ancora don Marco camminando tra le vie del quartiere. Ma le aste giudiziarie non sono l'unica minaccia: tra i palazzoni di Paolo VI la ludopatia si è insinuata in silenzio, alimentata dalla speranza di un colpo di fortuna. «C’è chi spende anche gli ultimi risparmi nel 10 e Lotto, giorno dopo giorno, nel tentativo di cambiare la propria condizione. E spesso, anziché vincere qualcosa, si ritrova con ancora meno di prima, aggravando un ciclo già segnato da precarietà e mancanze» aggiunge il religioso. La chiesa continua ad essere un presidio fondamentale: San Giuseppe Moscati assiste con la Caritas più di 200 famiglie. Mentre don Marco parlava con lo sguardo carico di speranza, intorno a noi si mostrava un’altra realtà: cumuli di rifiuti, topi che correvano tra le aiuole, un divano bruciato da poco ancora fumante sul marciapiede. Ma c'è anche chi ha scelto di dare vita a forme di sostegno popolare. Come il comitato “Per un quartiere migliore Paolo VI”. Massimo Cassano, Giuseppe d’Ippolito e Maurizio Morrone sono residenti che si autotassano insieme a tanti altri per aiutare famiglie in difficoltà: organizzano raccolte fondi e sostengono quei nuclei che combattono con le malattie. «Le istituzioni – rispondono sorridendo - si fanno vedere solo in campagna elettorale. Qui a volte basta un pacchetto di sigarette per comprare un voto. Ma la colpa non è di chi accetta, è di chi approfitta del bisogno. Il comitato oggi combatte però una nuova battaglia: «Ci stanno costruendo una discarica sotto il naso. La definiscono “materiale inerte”, ma sempre rifiuti restano». Una novità difficile da digerire per chi deve già fare i conti con le emissioni della fabbrica. Le ciminiere dell'ex Ilva svettano all'orizzonte: skyline ormai domestico di un presente velenoso. Ma la discarica ha il sapore di una beffa per chi deve lottare per un'ordinaria igiene urbana. La raccolta differenziata è ancora la grande assente: «Noi siamo gli incivili? Sono più di due giorni che Kyma non passa nei pressi della Motorizzazione» racconta Teresa Secci. «Solo nella nostra zona – rincara amareggiata Annalisa De Vincentis - non passano gli addetti della Kyma, mentre a Paolo VI nord, passano. Ci sono anche i cassonetti grandi. Solo da noi non viene nessuno, siamo abbandonati».

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