la sentenza
Taranto, lavori «truccati» a palazzo Pantaleo: «Nessun responsabile»
L’inchiesta delle Fiamme gialle aveva provato a mettere in luce gli accordi illeciti tra alcuni funzionari del Comune di Taranto e le aziende che avevano eseguito i lavori nella Città vecchia
Una assoluzione e una raffica di prescrizioni: è l’esito del processo che vedeva tra gli altri, Antonio Panariti imputato assieme ad altri 6 persone dopo il loro coinvolgimento nell’inchiesta «Appalti a cena» dei finanzieri su alcuni lavori sospetti in Città vecchia. La sentenza è stata emessa da collegio presieduto dal giudice Loredana Galasso che ha assolto con formula piena Panariti, nei confronti del quale la pubblica accusa aveva chiesto, durante la scorsa udienza, una condanna a 8 anni e 9 mesi di carcere per la sola accusa di estorsione – unico reato a suo carico rimasto ancora in piedi.
Nella precedente udienza la Procura aveva chiesto di far cadere le accuse per il reato di corruzione a pubblico ufficiale sia per Panariti che per Antonio Galiuto. Prescrizione per Antonio Mancini difeso da Vincenzo Vozza, Antonio e Pietro Galiuto ed Evangelina Campi assistiti tutti da Gaetano Vitale, Silvio Rufolo e Gianfranco Tonti. Nel procedimento il Comune di Taranto si era infine costituito parte civile attraverso l’avvocato Massimo Saracino per il danno patrimoniale e di immagine.
L’inchiesta delle Fiamme gialle coordinata dal procuratore aggiunto Enrico Bruschi, aveva provato a mettere in luce gli accordi illeciti raggiunti tra alcuni funzionari del Comune di Taranto e i rappresentanti delle aziende che avevano eseguito i lavori nella Città vecchia. Per il magistrato Bruschi, in sostanza, i dipendenti comunali avevano favorito la ditta della famiglia Galiuto chiudendo gli occhi sull’esecuzione dei lavori effettuati con materiale scadente, manodopera non adeguata, omissioni di lavori per la messa in sicurezza. Un sistema che era stato messo in piedi, sempre secondo gli inquirenti, grazie alle perizie che avevano modificato il progetto originale e che per i magistrati avevano costituito «il cavallo di Troia» per «l’introduzione illegittima di nuovi prezzi a vantaggio dell’impresa appaltatrice a detrimento dell’interesse della pubblica amministrazione al contenimento dei costi dei lavori».
La truffa alla Città vecchia, secondo la Procura, era rappresentata dai lavori eseguiti a Palazzo Pantaleo: nelle carte dell’inchiesta si leggeva infatti del «livello davvero scadente degli arredi» costati ai cittadini di Taranto ben 154mila euro. La prescrizione, però, non ha consentito di arrivare all’accertamento della verità.