il processo
Taranto, abusi a bordo dei bus Amat su una ragazza disabile: il pm chiede otto condanne
Formulata la pena più alta a 6 anni di carcere per uno degli imputati
Sono 8 le condanne chieste dalla pubblica accusa nei confronti degli 8 autisti di Amat, finiti a processo per violenza sessuale aggravata ai danni di una ragazza disabile di vent’anni. Il pubblico ministero Marzia Castiglia ha formulato la pena più alta a 6 anni di carcere per uno degli imputati, mentre per altri 5 autisti ha chiesto 5 anni e 6 mesi di reclusione e per gli ultimi due imputati una condanna a 4 anni e una a 2 anni e 6 mesi di reclusione.
Il magistrato inquirente ha depositato una memoria di 294 pagine in cui ha ripercorso tutti gli elementi emersi nel corso delle indagini. Nella sua disamina, il pm Castiglia ha evidenziato numerosi e tra questi in fatto che la vittima «mai ha dimostrato livore o risentimento nei confronti dei rei» nemmeno nelle sue confidenze con uno degli imputati che invece «non hanno esitato a screditare e ingiuriare la persona offesa, offendendola sia nell’aspetto, con riguardo alle qualità fisiche, sia nelle capacità intellettive (“quella tipo down”) di cui si dimostravano dunque ben al corrente, nonché nella integrità morale, arrivando ad asserire che le accuse fossero un pretesto per dare corso a mire risarcitorie».
L’accusa ha sottolineato inoltre che «l’estrema difficoltà per la vittima di ripercorrere gli accadimenti e gli abusi subiti, unitamente alla considerazione del tempo trascorso e soprattutto dei deficit cognitivi della medesima, non deve ancora una volta rappresentare un elemento distonico nell’impianto accusatorio, ma un naturale fisiologico corollario della vittimizzazione secondaria, che nel caso concreto è stato positivamente risolto proprio attraverso il ricorso alle contestazioni».
Per il pm Castiglia, insomma, la condizione di disabilità psichica della vittima è l’elemento fondamentale su cui si sono basati quegli abusi sessuali e non un fattore che indebolisce la ricostruzione dei fatti compiuta dalla vittima.
Il processo, che vede Amat costituita parte civile attraverso l’avvocato Claudio Petrone che ha chiesto un risarcimento di 200mila euro per danni di immagine e una provvisionale di 50mila euro, è nato dopo l’inchiesta avviata con la denuncia della ragazza secondo la quale quelle violenze avvenivano proprio sugli autobus di linea: alcuni si sarebbero limitati a palpeggiamenti, altri avrebbero avuto invece rapporti sessuali.
Ai poliziotti, infatti, la ragazza raccontò che si appartavano in luoghi isolati, sotto un cavalcavia nei pressi del capolinea al porto mercantile o vicino una delle portinerie dell’Ilva, poi chiudevano le porte del mezzo e lì avvenivano gli atti.
Nella prossima udienza la parola passerà al collegio difensivo, composto tra gli altri dagli avvocati Alessandro Scapati, Andrea Digiacomo. Alessandra Semeraro, Vincenzo Monteforte, Pierluigi Morelli, Marco Zito e Pasquale Miraglia. Infine toccherà al collegio presieduto dal giudice Elvia di Roma decidere sulla colpevolezza o sull’innocenza degli imputati.