il caso

Taranto, la Procura smentisce l'ex Ilva: «Mai chiesta l'autorizzazione per quei lavori all'altoforno 1»

Francesco Casula

Il ministro Urso e i commissari hanno accusato i pm di aver ritardato il via libera, rendendo inutilizzabili gli impianti. Ma la procuratrice Pontassuglia: «Noi sempre rigorosi e puntuali»

TARANTO - L’autorizzazione richiesta da Acciaierie d’Italia in As per effettuare il “colaggio dei fusi” dall’altoforno 1, attività necessaria secondo l’azienda per evitare «procedure straordinarie che potrebbero determinare la probabile fermata definitiva dell’impianto» non è stata avanzata in nessuna delle istanze sottoposte alla procura di Taranto in questi giorni così convulsi. Firmato Eugenia Pontassuglia.

In una nota lunga due pagine il procuratore della Repubblica di Taranto è intervenuta dopo la bufera scatenata dal contenuto di una relazione di AdI passata alla stampa e delle dichiarazioni del ministro Adolfo Urso che hanno puntato il dito contro gli inquirenti accusandoli di aver concesso in ritardo il via libera alle operazioni per salvaguardare l’impianto nel quale il 7 maggio scorso si è sviluppato un incendio di vaste proporzioni che ha messo a rischio l’incolumità dei lavoratori.

Il capo degli inquirenti ionici ha ricostruito passo dopo passo gli eventi di quei giorni evidenziando anche gli orari delle richieste fatte dai legali dell’ex Ilva e delle risposte inviate dalla Procura, proprio allo scopo di fare chiarezza e sgombrare il campo dalle insinuazioni di una presunta inerzia.

Pontassuglia nel comunicato stampa ha innanzitutto chiarito che quel giorno, poco dopo l’avvistamento della colonna di fumo e delle fiamme dallo stabilimento, sono giunti in fabbrica i Vigili del Fuoco di Taranto e il personale Arpa Puglia e dello Spesal: gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno accertato che il personale interno all’azienda stava effettuando lo spegnimento di «ingenti quantitativi di materiale solido incandescente» e che le fiamme avevano «esposto a evidenti rischi per la propria incolumità i lavoratori interni nonché quelli delle aziende terze presenti in tali luoghi sulla traiettoria delle emissioni incendiarie di gas e di materiale solido» e che i lavoratori di AdI erano stati condotti infermeria per «ustioni di piccola entità, contusioni ed escoriazioni». Arpa, Vigili del Fuoco e Spesal firmavano quindi il verbale con cui disponevano il sequestro probatorio dell’impianto autorizzando già da quel momento «tutte le attività finalizzate alla salvaguardia della salute pubblica, della sicurezza dei lavoratori nonché dell’ambiente e l’accesso alla sala controllo del personale addetto al monitoraggio dei parametri volti a garantire le condizioni generali di sicurezza». Il verbale è stato consegnato alla procura alle 16.50 dell’8 maggio e solo tre ore dopo, alle 19.50, la procura convalidava il sequestro per la «situazione di pericolo per l’incolumità e la sicurezza dei lavoratori». Contestualmente sul tavolo degli inquirenti era giunta una istanza dell’ufficio legale di Adl e del capo Area Altoforni con la quale veniva richiesta l’autorizzazione all’esecuzione «di specifiche e numerose attività tecniche sull’impianto in sequestro»: in considerazione della «natura estremamente tecnica dell’istanza avanzata da AdI e dell’assenza di alcuna valutazione effettuata dagli organi tecnici in ordine alla stessa – aggiunge il procuratore Pontassuglia - si richiedeva ad Arpa di esprimere parere. Il giorno successivo, 9 maggio alle 15:14, Adi ha inviato una seconda istanza chiedendo si effettuare altre attività tecniche e sottolineando che «il tempo residuo utile per effettuare le operazioni richieste è di circa 48 ore dal presente momento». Insomma due giorni a partire da quel pomeriggio del 9 maggio. Anche questa nuova richiesta è stata sottoposta agli esperti dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale: il parere di Arpa è giunto alle 12:04 del 10 maggio e tre ore dopo alle 13.01 la procura ha autorizzato «l’esecuzione della quasi totalità delle attività richieste, restando escluse quelle che, secondo le valutazioni tecniche espresse da ARPA, da un lato non incidevano sulla integrità degli impianti, dall’altro apparivano confliggenti con le esigenze probatorie connesse al sequestro». Insomma la procura ha risposto dopo 22 ore all’istanza di Acciaierie d’Italia che aveva tracciato l’ultimatum in 48 ore. Quanto al «colaggio dei fusi» Pontassuglia ha semplicemente risposto che non è mai stato richiesto.

Eppure il 12 maggio una nota di Adi ha accusato gli inquirenti di aver tardato nel concedere il via libera generando danni alla struttura: dichiarazioni diffuse dalla stampa a cui aveva fatto eco anche lo stesso ministro Urso che ha sostenuto come l’Altoforno 1 fosse «verosimilmente compromesso» e la trattativa con gli azeri di Baku Steel per la vendita ormai naufragata.

Nella nota dell’8 maggio a firma della responsabile dell’ufficio legale di Adi, Giulia Costagliola D’Abete, e del capo area Esercizio Altiforni Arcangelo De Biasi, in effetti la società ha chiarito l’Altoforno1 «è stato fermato senza una adeguata preparazione della carica (mix dei materiali introdotti), tale da permettere un riavvio dello stesso dopo una lunga fermata» e «se la stessa fermata dovesse superare un periodo temporale di alcuni giorni, tali da determinare un raffreddamento significativo dei fusi presenti nel crogiolo, il riavvio potrebbe risultare estremamente difficoltoso se non addirittura non possibile». Il dirigente dell’ex Ilva ha poi aggiunto che «al fine di scongiurare il danneggiamento irreversibile dell’impianto è necessario eseguire attività di ripristino strutturale dello stesso onde garantire la rimessa in marcia nel minor tempo possibile, all’esito della cessata esigenza probatoria». Ha infine elencato tutte le operazioni, ma senza citare espressamente il «colaggio dei fusi» evidentemente determinante per salvaguardare l’integrità dell’impianto.

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