L'inchiesta
Mafia a Manduria, a settembre fissato il processo d’appello «Cupola»
Nuovo round dopo le 32 condanne in primo grado dopo i ricorsi della difesa
MANDURIA - Prenderà il via a settembre il processo d'appello nei confronti degli imputati condannati in primo grado nel blitz antimafia denominato «Cupola» che ha smantellato una federazione criminale a Manduria. Un nuovo round tra accusa e difesa dopo la sentenza del giudice Marcello Rizzo che, come sostenuto dal Direzione distrettuale Antimafia di Lecce. ha confermato l’esistenza a Manduria di un’organizzazione mafiosa nel territorio messapico e inflitto 32 condanne.
Le pene più alte sono state inflitto a tre dei quattro membri che componevano la cupola: 20 anni di carcere per Walter Modeo, Giovanni Caniglia e Nazareno Malorgio. Il quarto, Elio Palmisano ex presidente del Manduria calcio, ha rimediato una condanna a 7 anni, 6 mesi e 20 giorni di reclusione.
Nelle 673 pagine delle motivazioni si legge infatti che a Manduria esisteva un’alleanza mafiosa guidata da una cupola, ma i componenti erano pronti a tradirsi senza alcuno scrupolo. «Alcuni gruppi malavitosi – scrive il giudice Rizzo - capeggiati dai pregiudicati Caniglia Giovanni, Modeo Walter, Malorgio Nazareno e Palmisano Elio» avrebbero «stretto tra loro una “alleanza”» per ottenere «un controllo totale sulle attività illecite del territorio, in particolare sullo spaccio di stupefacenti».
Ma la solidità di quell’alleanza era «indebolita dalle forti personalità dei quattro vertici che, per quanto si definissero “uomini d’onore”, erano in realtà pronti a fare i propri interessi e a tradire l’accordo siglato». Vecchie ruggini e sete di potere avrebbero portato secondo quanto raccolto dal pm Milto De Nozza della Direzione distrettuale antimafia di Lecce che ha coordinato le indagini della Squadra mobile di Taranto, avevano portato anche a progettare omicidi eclatanti: Caniglia, stando a quanto ha rivelato uno degli imputati, era «pronto ad uccidere Modeo per conquistare il pieno controllo delle attività illecite in Manduria».
Tra il 2018 e il 2019, quindi, il comune messapico è stato dominato da una federazione di clan, ciascuno rappresentato da affiliati storici alla Sacra corona unita che «hanno deciso di siglare una sorta di alleanza, un patto per costituire un cartello che gestisse in maniera monopolistica il traffico degli stupefacenti nel territorio di appartenenza. L’imposizione – si legge nella sentenza – del monopolio era resa agevole dalla forza di intimidazione che ciascuno di loro era in grado di esercitare grazie ai vincoli associativi pregressi ed era ancor più facilitata dalla loro alleanza, che di fatto impediva a chiunque di contrastarli perché, se qualcuno avesse osato tentare di inserirsi in quel settore senza il loro consenso o avesse spacciato sostanze acquistate da altri, sarebbe andato incontro e prevedibili conseguenze. Ed infatti, ciò – scrive il giudice Rizzo – non è mai avvenuto e non vi è stato mai bisogno di prendere provvedimenti contro eventuali concorrenti».