Il caso Paola Clemente

Bracciante morta nei campi sotto il sole: ecco perché l’imprenditore è stato assolto

Francesco Casula

Nelle 115 pagine di motivazioni, il magistrato ha infatti spiegato che anche se è «indubbio» che l'imputato non abbia adempiuto agli obblighi verso i lavoratori

TARANTO - Anche in presenza di informazione, formazione e misure di protezione ai lavoratori, Paola Clemente sarebbe comunque deceduta. È quanto in estrema sintesi ha scritto il giudice di Trani Sara Pedone che il 15 aprile scorso ha assolto dall'accusa di omicidio colposo Luigi Terrone, difeso dagli avvocati Bepi e Angela Maralfa e amministratore unico della società per cui lavorava la 49enne bracciante agricola, morta in un vigneto di Andria il 13 luglio 2015.

Nelle 115 pagine di motivazioni, il magistrato ha infatti spiegato che anche se è «indubbio» che l'imputato non abbia adempiuto agli obblighi verso i lavoratori, è «altrettanto vero» che «non si vede come siffatte procedure avrebbero potuto influenzare il decorso degli eventi che hanno poi portato alla morte di Paola Clemente». Il dibattimento ha infatti portato alla luce che la patologia di cui la donna soffriva, non solo non era tale da far dichiarare la sua inidoneità al servizio, ma soprattutto che «la mancata valutazione del rischio cui la stessa era sottoposta, non ha rappresentato la causa dell'evento, ma mera concausa» portando a una esclusione di responsabilità di Terrone.

La mancanza di un medico sul posto di lavoro e soprattutto di personale addestrato per le operazioni di primo soccorso, hanno certamente portato a «una grave sottovalutazione dell'evento» che ha generato «un ritardo nell'attivazione del primo soccorso, rivelatosi poi fatale», ma alla 49enne sono comunque state praticate misure di primo soccorso «seppur non da lavoratori a ciò espressamente deputati» che non state sufficienti. Infine le condizioni della donna si erano già manifestate nella loro criticità nei giorni precedenti senza che nessuno, neppure i medici che l’hanno visitata, si sarebbero accorti dei sintomi che poi l’hanno uccisa.

«Non può del resto neppure sottacersi – ha aggiunto ancora il giudice Pedone - che anche le difficoltà dell'ambulanza del 118 (giunta sul postodopo 26 minuti) di raggiungere il luogo ove la Clemente si trovava non sarebbero state scongiurate neppure dalla presenza di personale di primo soccorso».

Una sentenza contro la quale gli avvocati dei familiari e delle parti civili, Giovanni Vinci e Antonella Notaristefano, hanno già annunciato ricorso alla Corte d’appello.

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