I Riti
Taranto, quell’abbraccio dei confratelli per il Gonfalone di Girolamo
Durante la gara all’aggiudicazione hanno contribuito i confratelli
BARI - C’è un simbolo nella processione dei Misteri che quest’anno è diventato il simbolo di un’intera congrega. A portarlo sarà un solo confratello, ma con lui ci sarà un’intera confraternita. Classe 1974, penultimo di 7 figli, Girolamo D’alba è nato in una famiglia che ha contribuito a scrivere la storia dei Riti. Giovanni, suo padre, era nato nel 1937 e nel momento in cui è venuto alla luce è diventato anche lui confratello.
Anche lui figlio d’arte, Giovanni ha ereditato il legame con la Settimana Santa da suo padre, Domenico D’Alba detto «Cicchetegnacche», l’uomo claudicante che amava portare il crocifero nel pellegrinaggio dell’Addolorata e che a causa di quel problema fisico riusciva a rendere unica la sua «nazzicata», quel movimento lento e dondolante che caratterizza le processioni tarantine.
E così, di padre in figlio, da Domenico a Giovanni ai suoi figli, tutti hanno scelto la tradizione: come le sorelle Teresa, Tonia, Nunzia e i fratelli Domenico, Giuseppe, Mimmo, anche Girolamo è diventato confratello, prima dell’Addolorata e poi del Carmine.
«La prima volta che ho visto i Riti – racconta alla Gazzetta – ero a via Duomo, sul balcone di casa di mia nonna: fu lei a mostrarmi la statua della Vergine e poi indicò il crocifero dicendo “quello è tuo padre”. Non so perché, ma risposi subito “anche io voglio stare con papà” e così è stato da allora». Molto spesso Girolamo è stato uno dei «mazzieri», quei confratelli al servizio degli altri: «essere un mazziere vuol dire fare servizio al prossimo. Essere vicino ai confratelli per le loro esigenze: una caramella, dare loro un attimo il cambio, sostenerli in quel sacrificio». E forse è per la sua genuina bontà che è diventato protagonista di una delle più belle pagine della storia dei Riti.
Quest’anno aveva scelto di gareggiare per il Gonfalone, la grande bandiera nera del lutto che segue il troccolante dei Misteri: ha perso mamma Anna Maria nel 2020, un anno prima papà Giovanni e voleva rivivere a distanza di 20 anni il sacrificio di suo padre che nel 2003 portò proprio il Gonfalone. Durante la gara ha fatto le sue offerte, ma c’era chi rilanciava: «È un confratello come me – spiega Girolamo – e aveva le sue motivazioni: un fratello come tanti che vuole esaudire un desiderio». Lui ha sempre una parola buona per tutti e le sue offerte erano accompagnate da ovazioni e applausi. Ma quel momento di gioia condivisa stava per svanire quando ha fatto l’ultimo rilancio possibile: «c’è un limite oltre il quale non si deve andare, me l’ha insegnato mio padre».
Ma domenica sera, Girolamo non era solo. Oltre alla sua famiglia, accanto a lui sono arrivati gli aggiudicatari delle «Sdanghe» dell’Addolorata di San Domenico per offrirgli un aiuto. Girolamo ha potuto rilanciare ancora e l’assemblea è diventato uno stadio felice. Quando è arrivata l’aggiudicazione definitiva la Concattedrale è esplosa: abbracci, applausi.
«Quello che è avvenuto domenica sera forse è un miracolo: quell’esplosione d’affetto, d’amore io non l’ho mai visto. Però poi mi ricordo le parole del priore Nicola Caputo quando mi insegnava che le confraternite nascono per aiutare. Ecco noi siamo l’aiuto di tanti e questa volta i miei confratelli sono stati il mio aiuto. Questa città, senza i riti, non sarebbe la stessa». Davanti alla chiesa gremita che festeggiava se tutti avessero vinto, Girolamo ha alzato un dito al cielo: «Mio padre. Lo sentivo lì con me. Ho pregato sempre per questo momento: è come se il Signore avesse agito attraverso questi fratelli. E poi non so: forse tutti erano contenti perché sanno che Girolamo prega per tutti».