il siderurgico
ArcelorMittal, sindacati: «L'azienda vuole altri mille in cig»
ArcelorMittal vorrebbe estendere la cassa integrazione ad altri 1000 lavoratori, che si andrebbero ad aggiungere alla platea già piuttosto ampia dei circa 4000
ArcelorMittal, secondo fonti sindacali, da lunedì prossimo intende ridurre progressivamente le presenze in fabbrica a circa 3mila unità in linea con una produzione di 3 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, aumentando di conseguenza di un migliaio il numero di addetti in cassa integrazione Covid. A quanto si apprende, alcuni dipendenti hanno ricevuto la lettera di messa in Cig: per alcuni è indicata la data del rientro al lavoro, per altri no. Attualmente gli ammortizzatori sociali coinvolgono circa 4mila
«Purtroppo - sottolinea in una nota il coordinamento provinciale Usb - si avvera quello che avevamo ampiamente previsto: ArcelorMittal vorrebbe estendere la cassa integrazione ad altri 1000 lavoratori, che si andrebbero ad aggiungere alla platea già piuttosto ampia dei circa 4000. Dunque 5000 in tutto le unità lavorative interessate che, nella nuova compagine societaria, dovrebbero essere prese in carico da Invitalia, di cui 3000 in cassa integrazione a zero ore e 2000 destinati presumibilmente a rientrare in un processo di terzializzazione».
Secondo l’organizzazione sindacale, è «prevedibile che nel passaggio dalla multinazionale alle ditte esterne si possano perdere garanzie. Nei programmi dunque si parla di un organico che rimarrebbe nel circuito aziendale in regime ordinario non superiore alle 3000 unità, con una produzione annuale che non supera i 3 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Previsioni che chiaramente portano la fabbrica verso un inevitabile collasso. Spiace rilevare che ciò accade con il silenzioso sostegno di un Governo incapace di gestire questa vertenza"
Lo schema, osserva l’Unione sindacale di base, «sarebbe questo: una parte di lavoratori in As, una in ArcelorMittal, una in Invitalia, quest’ultima a sua volta divisa tra coloro che sono in cassa integrazione e altri che potrebbero passare a ditte esterne. Va detto, inoltre che, se si dovesse realizzare quanto detto, lo stabilimento verrebbe gestito per il 90 % con risorse pubbliche e col minimo impegno di Mittal».
L’Usb «rifiuta questo schema» e «chiede che la multinazionale venga messa alla porta per aprire un nuovo capitolo, nazionalizzare la fabbrica e riconvertire attraverso un accordo di programma che possa garantire tutti».addetti su una forza lavoro di 8147 (esclusi i dirigenti).