L'intervista

Perinetti: «Il Bari deve mostrare personalità e fiducia per uscire da questo momento»

pierpaolo paterno

L'ex ds dei biancorossi: «Non c’è mai una sola causa, ma intervengono vari fattori. Non so se strutturali, perché guardando la squadra dall’esterno sembrerebbe avere un buon organico»

I numeri non mentono, ma spesso non spiegano tutto. Il Bari arriva a questo snodo della stagione con una classifica asfittica e con una sola vittoria esterna nel 2025 che fotografa un disagio profondo, tecnico e psicologico insieme. Attorno alla squadra si è progressivamente allargata una frattura tra aspettative e realtà, tra le valutazioni iniziali sull’organico e un rendimento che non ha mai davvero preso quota. L’avvicendamento in panchina, anziché segnare una svolta, ha prodotto segnali timidi, insufficienti a cambiare inerzia.

È in questo contesto che il dibattito si fa inevitabilmente più ampio: responsabilità individuali e collettive, scelte di mercato, tenuta del progetto tecnico, ruolo della dirigenza. Il rischio concreto è quello di una stagione che scivola via senza una direzione chiara, mentre il tempo per correggere gli errori si assottiglia.

A Giorgio Perinetti, che il Bari lo ha costruito e vissuto da dentro, chiediamo una lettura lucida e senza sconti. Non per trovare colpevoli, ma per capire se e come esista ancora una strada credibile per evitare il peggio.

Direttore, ci sembra giusto partire dal libro che ha presentato l’altro giorno intitolato «Quello che non ho visto arrivare» e con una dedica speciale per sua figlia Emanuela.

«Il ricordo di mia figlia è purtroppo un rivivere una triste vicenda personale vissuta direttamente. La speranza è dare uno spunto, una possibilità, ad altre ragazze, di uscire dal tunnel dell’anoressia e non fare la fine di mia figlia. Come genitore sono stato sorpreso e non ho potuto invertire il percorso negativo che stava facendo Emanuela. Speriamo che parlando in ogni dove di questo argomento dei disturbi alimentari si possa riuscire ad aiutare altre famiglie».

Spostiamoci ad argomenti più prosaici. Il Bari nel 2025 ha vinto una sola volta in trasferta. Dato tecnico, mentale o strutturale?

«Non c’è mai una sola causa, ma intervengono vari fattori. Non so se strutturali, perché guardando la squadra dall’esterno sembrerebbe avere un buon organico. Di sicuro, mancano personalità e fiducia dal momento che i risultati sono troppo altalenanti. Mancando la fiducia in stessi, è fisiologico che fuori casa si soffra in maniera particolare».

Per una squadra stabilmente nei bassifondi della classifica si può ancora parlare di “valore dell’organico” o i giudizi iniziali erano sovrastimati?

«Penso alla Fiorentina che in A ha giocatori importanti e sta facendo fatica. Ci sono delle annate in cui si parte male, si continua peggio e non si trovano le soluzioni all’interno nello spogliatoio. Neanche equilibri in campo. Per cui si naviga a vista nei bassifondi, senza essere preparati per questo tipo di campionato. Questa è la vera difficoltà».

Con l’arrivo di Vivarini, il Bari ha ottenuto una sconfitta e tre pareggi. Che lettura dà di questo impatto così limitato?

«Se già c’erano problemi, non credo che d’incanto si possano risolvere. Bisogna andare alla radice dei problemi che, probabilmente, sono maggiori di quelli che lo stesso Vivarini pensava di trovare. Per fare il suo gioco, di possesso palla e qualità, occorre tanta fiducia in se stessi. Caratteristica che, in questo momento, al Bari manca. La prima cosa da fare è far ritrovare ai calciatori fiducia e consapevolezza in se stessi».

Quando una squadra non riesce mai a svoltare, la responsabilità è più dell’allenatore o di chi ha costruito il gruppo?

«Non credo che nel calcio di oggi nessun allenatore non partecipi alla costruzione del gruppo. Il problema è generale. Ci sono tanti fattori. Nessuno è esente da responsabilità, soprattutto quando la situazione è così compromessa rispetto alle aspettative».

Oggi il Bari sembra corto, fragile e incompleto. Servono davvero almeno due innesti per reparto o il problema va oltre il mercato?

«I primi a darsi una scossa devono essere i giocatori. Per quanto, per certo, in sede di mercato estivo qualcosa non è stato azzeccato. Altrimenti non si starebbe nell’attuale situazione deficitaria. Il mercato di sicuro non sarà stato ottimale. Costruito non so da chi, visto che ci lavorano varie figure. I giocatori devono reagire e cercare di fare meglio»”.

A gennaio si può ancora salvare una stagione compromessa o si rischia di buttare soldi senza una visione chiara?

«Il mercato di gennaio è sempre molto particolare. Quando tocchi e ritocchi, non si sa mai se fai bene o meno. Il Bari può solo migliorare. È difficile adesso muovere le pedine. Servirà molta attenzione, perché il rischio di peggiorare è dietro l’angolo».

Come se ne esce concretamente. Con scelte radicali o con piccoli correttivi e molta pazienza?

«Dei correttivi servono. Parlare sempre e solo di mercato non è la panacea di tutti i mali».

L’allenatore è stato esonerato e il progetto tecnico è fallito. Perché, secondo lei, Magalini e Di Cesare sono ancora in sella?

«L’attribuzione di responsabilità da parte della società è sempre molto strana. A Mantova hanno allontanato prima il direttore e poi l’allenatore. Altrove, sono andati via insieme. Si fa il giochino dello scarico delle responsabilità e non si sa mai se si indovina. Una riflessione generale su tutta l’attività sportiva del Bari andrebbe fatta a partire dall’alto sino all’ultimo degli operativi. Non può essere che ci siano questi sbalzi frequenti e queste prestazioni non sempre all’altezza».

Venerdì arriva il Catanzaro dell’ex Polito. Avversario e ds da non sottovalutare.

«Non è da sottovalutare il Catanzaro nel suo complesso. Un gruppo che lavora con continuità da anni e ora ha dato fiducia a mister Aquilani, un tecnico con delle qualità. Ha già dato un’impronta alla squadra per superare le difficoltà. Fa giocare il Catanzaro in un modo preciso».

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