L'intervista

Le mille anime di Raphael Gualazzi: «Ogni concerto è un volto della mia identità artistica»

Il cantautore, pianista e compositore sarà a Bari, Acquaviva e Lecce in Piano Solo, poi a Capodanno con il quintetto alla Spiaggia dei Gradoni per l'Alba dei Popoli

Le dimensioni distinte dei suoi spettacoli rispecchiano la sua personalità poliedrica dal punto di vista artistico: Raphael Gualazzi offre in ogni contesto musicale un viaggio per il suo pubblico, che parte dalla tradizione e arriva al presente. Il cantautore, pianista, compositore, arrangiatore e produttore, acclamato per il suo linguaggio personale e inconfondibile, moltiplica le forme del live per restituire ogni sera un volto diverso della propria identità artistica. E lo farà anche nei prossimi giorni in Puglia, dove sarà impegnato in diversi appuntamenti: domani, 20 dicembre, al Teatro Forma di Bari; domenica 21 al Teatro Luciani di Acquaviva delle Fonti per la rassegna JazzSet; lunedì 22 al Teatro Paisiello di Lecce nel cartellone di Salento Jazz. Queste tre date lo vedranno impegnato in Piano Solo, mentre il 1° gennaio tornerà a Otranto per l'Alba dei Popoli, festeggiando l'anno nuovo sulla Spiaggia dei Gradoni con il suo Raphael Gualazzi Quintet (ingresso gratuito).

Gualazzi, ci racconta la scelta di sviluppare percorsi dal vivo diversi, ma in parallelo?

«Ho un repertorio di composizioni ventennale, con brani di diverse caratteristiche. Con l’orchestra (con cui tornerà in Puglia il 13 febbraio al Teatro Kennedy di Fasano per Fasano Musica, insieme all'Orchestra della Magna Grecia, ndr.) possiamo restituire giustizia artistica a un repertorio contaminato dai sapori sinfonici dei miei studi classici. Quando suono con il quintetto, invece, la componente vocale è determinante: i musicisti interpretano linee e arrangiamenti vocali scritti apposta per loro, abbiamo organo Hammond, tromba e cori. Nel trio, invece, ci concentriamo su un’atmosfera più jazzistica che valorizza l’interplay tra i musicisti e le qualità acustiche degli strumenti. Il piano solo, infine, è un approccio più confidenziale: porto il pubblico attraverso le mie ispirazioni e storie, con aneddoti legati al mondo afro-americano dagli albori del secolo scorso fino a oggi»

Quanto è importante per lei il valore della condivisione sul palco?

«È fondamentale. La musica è un linguaggio universale e profondo, come ha detto Herbie Hancock, è una metafora sociale: ascoltare l’altro permette di valorizzare la propria individualità. È un principio che può essere applicato anche alla società: imparare ad ascoltare gli altri e vedere opportunità nelle situazioni che chiamiamo “problemi”».

Teatri, piazze, chiostri, a Capodanno sulla spiaggia di Otranto: il suo approccio cambia in base al luogo?

«Lascio sempre una certa flessibilità nel repertorio: il luogo e l’atmosfera influenzano la scelta dei brani. Ci sono alcuni pezzi fissi che accompagnano quasi sempre il percorso, ma intorno a questi cerco di creare contenuti inaspettati o valorizzare repertori meno eseguiti. In questo modo si mostra l’universo del mio percorso artistico».

Il panorama musicale mainstream va in tutt'altra direzione. Come vede l’approccio dei più giovani verso il jazz e la classica?

«La fortuna è che l’esperienza dal vivo non può essere sostituita. Un concerto, anche classico o sinfonico, genera emozioni che sfuggono a qualsiasi riproduzione artificiale. La musica dal vivo non è mai uguale a se stessa: si rigenera e si rinnova. Ci sarà sempre un pubblico, e ci saranno sempre giovani attratti e incuriositi, a prescindere dalle evoluzioni del mainstream».

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