L'intervista
Un soprano di Mola è Turandot al Petruzzelli
Maria Cristina Bellantuono, 31 anni, nel secondo cast dell’opera in scena a Bari. «Un sogno che si realizza»
Quello di ieri è stato per lei un debutto più che speciale: a 31 anni, avere la possibilità di calcare il palco del teatro «di casa» più importante, in un ruolo temuto come quello della principessa Turandot, non è da tutte. E Maria Cristina Bellantuono, notevole talento della lirica pugliese, non se l’è lasciato scappare, con personalità e una vocalità di tutto rispetto. La soprano originaria di Mola di Bari è inserita nel secondo cast della Turandot di Giacomo Puccini che sta andando in scena in questi giorni, al Teatro Petruzzelli di Bari, nell’ambito del cartellone lirico dell’Ente Lirico: in un allestimento impreziosito dai bellissimi costumi del grande stilista romano Roberto Capucci, con la regia da Paul Curran e la bacchetta di Renato Palumbo a dirigere l’Orchestra del Teatro. Le prossime repliche, per uno spettacolo da tutto esaurito già da tempo, andranno in scena oggi alle 18, martedì 19 alle 20,30 (dove Bellantuono interpreterà ancora Turandot) e mercoledì 20 alle 18.
«È per me un’emozione grandissima - spiega Bellantuono - ricoprire per la prima volta un ruolo così importante, nel teatro in cui ho sempre sognato di cantare. Tra l’altro Turandot è la prima opera che ho visto in vita mia, a 18 anni, all’Arena di Verona, con una strepitosa Giovanna Casolla nel ruolo e la regia di Franco Zeffirelli. Era forse destino che dovessi debuttare proprio in questo ruolo al Petruzzelli».
Cosa viene chiesto a una cantante nel dover interpretare la principessa gelida e impassibile più famosa dell’opera lirica, eppur vinta dalla forza dell’amore del principe Calaf?
«In genere Turandot ha il timbro di cantanti un po’ più in là con l’età, dai 40 anni in su: necessita di un’imponenza vocale notevole, per non parlare della presenza scenica. Solo la sua apparizione iniziale incute terrore a tutto il popolo di Pechino: abbiamo fatto un lavoro meraviglioso con il regista e con Roberto Capucci per i suoi incredibili costumi, e mi sono subito sentita a mio agio. Per tutta la vita mi sono sentita sempre troppo alta, ma in questo caso è una dote che mi ha aiutato».
A livello caratteriale sente di avere qualcosa in comune con la principessa Turandot?
«È una donna che ha una evoluzione particolare all’interno dell’opera. Parte dall’essere una fanciulla capricciosa, diventa ribelle quando il principe Calaf svela tutti gli enigmi e poi si innamora, soggiogata dalla forza del sentimento. In genere mi viene detto di essere distaccata nell’interazione con altre persone. Quindi nell’impassibilità di Turandot posso ritrovarmi. Ma è una donna che presto svela anche la sua vulnerabilità e fragilità, e questo è anche un punto di contatto tra noi».
Quali le insidie principali del ruolo?
«Si passa da una tessitura acuta, con un bellissimo do sovracuto (ripetuto tre volte nel secondo atto), sino a un registro più grave, durante gli enigmi. Bisogna avere una discreta elasticità, perché si passa in frazioni di poche battute da una tessitura a un’altra. Non è stancante fisicamente, ma è un ruolo che sfinisce dal punto di vista psicologico, perché è impossibile cantarlo senza metterci l’anima. E poi l’attesa, nel secondo atto, prima della celebre aria In questa reggia è tremenda: dopo quel momento posso dire di aver rotto il ghiaccio».