Il concerto
Sergio Cammariere dal vivo a Putignano: «In ogni esibizione sensazioni nuove»
«Nel jazz non credo ci siano delle tendenze, la cosa fondamentale è suonare acusticamente, cioè fare musica quando si esegue il brano con lo strumento che hai di fronte»
Compositore e cantante raffinato ed elegante, legato alla più alta tradizione della musica d’autore italiana ma, soprattutto, vicino alle sonorità brasiliane e al jazz. Sergio Cammariere ci ha abituati a canzoni indimenticabili e a musiche che spesso si intrecciano con il cinema (colonne sonore), il teatro e la danza. Il 62enne cantautore crotonese, cugino di Rino Gaetano, torna in Puglia per esibirsi venerdì 14 luglio alle 21, al Garden di via Umberto I a Putignano per la rassegna estiva promossa dall’associazione «Il tassello mancante». Cammariere, pianoforte e voce, si esibirà con tre noti musicisti jazz: Amedeo Ariano (batteria), Luca Bulgarelli (contrabbasso) e Daniele Tittarelli (sax). L’artista calabrese, propone parte del suo percorso artistico.
«Il mio cammino è iniziato molti anni fa - ricorda Cammariere -, quando scelsi questo percorso per fare il cantautore. Ebbi la fortuna di entrare subito nella casa discografica indipendente IT Dischi, fondata e diretta da Vincenzo Micocci, colui che ha inventato il termine “cantautore”. Abbiamo creato canzoni dove si scandivano bene le parole e si facevano capire. È stata una scuola a tutti gli effetti, sia dal punto di vista testuale che melodico: da qui è iniziata la mia storia. Ho conosciuto Roberto Kunstler con cui abbiamo fatto il primo disco insieme nel 1993, I ricordi e le persone, disco nel quale c’è una canzone, “Dalla pace del mare lontano”, dal senso molto profondo che, sebbene composta oltre trent’anni fa, propongo anche ora durante ogni mia esibizione».
Qual è la particolarità di questo concerto?
«La forza dell’esibizione con il mio quartetto non è tanto nella bellezza delle canzoni, ma come vengono eseguite. In ogni esibizione c’è una sensazione nuova che viene generata dal nostro gruppo, con il quale suoniamo da tanti anni. Conoscendoci musicalmente a memoria si crea l’interplay, che cambia i brani in ogni live. Li trasformiamo sia nel modo di cantare, sia nel modo di concepire l’inizio, la fine e il mezzo del pezzo, perché ci improvvisiamo dentro. Ritengo che possa fare questo solo chi è padrone dello strumento, chi è un musicista».
A proposito di improvvisazione, ritiene che il jazz sia diventata una moda?
«Mi ritengo un musicista classico rock, molto vicino ai mondi latini, che usa il jazz per riuscire a compiere avventure musicali. Ma a livello jazzistico non so suonare il be-bop. Del resto non credo ci siano delle tendenze, la cosa fondamentale è suonare acusticamente, cioè fare musica quando si esegue il brano con lo strumento che hai di fronte, quindi con musicisti che suonano la musica. Oggi oltre il 50% di spettacoli italiani sono in playback, con l’utilizzo di forme elettroniche come i loop. Questo mondo sta prendendo il sopravvento, i dischi oggi in classifica sono per lo più fatti in questa maniera. Non c’è la mano del pianista o del chitarrista, è tutto un miscuglio elettronico, molto affascinante, ma distante da quello che propongo».