L'intervista

Matteotti, a 100 anni dalla morte le ombre britanniche: parola di Fasanella

Leonardo Petrocelli

Sul delitto confluirono gli interessi di Mussolini e degli inglesi. È probabile che la responsabilità non fosse soltanto del duce. Il filo nero del petrolio

BARI - Non sono documenti trovati in qualche scantinato. La fonte di tutto è infatti l’archivio del multiforme conservatore Samuel Hoare - agente segreto, influente finanziere e ministro degli Esteri di Sua Maestà - a disposizione degli studiosi dal 2001 nella prestigiosa biblioteca di Cambridge. Partendo da quei documenti il giornalista Giovanni Fasanella, lucano classe 1954, ha illuminato, con Mario José Cereghino, molti coni d’ombra della storia d’Italia. E uno di questi interseca proprio la morte di Matteotti. Volumi come Il Golpe inglese o il più recente Nero di Londra (Chiarelettere, pp. 256, euro 18) ci raccontano una storia fitta, complessa, in cui tangenti petrolifere e battaglie politiche si incrociano con quel legame, fortissimo, tra Londra e Roma all’alba del fascismo.

Fasanella, da dove cominciamo?

«Non dalla morte di Matteotti, altrimenti non si capisce nulla».

E quindi?

«Serve qualche passo indietro. Dopo la fine della prima guerra mondiale l’Inghilterra desiderava mettere le mani sul Mediterraneo con particolare riferimento alle risorse petrolifere. L’idea era quella di costruire un corridoio anglofilo dal Medio Oriente alla Baviera, passando poi per i Balcani e il porto di Trieste».

Dunque l’Italia diventò strategica...

«Per controllare quell’area era necessario controllare Roma dove però, in seguito alla “vittoria mutilata”, si erano diffusi forti sentimenti anti-francesi e anti-inglesi. Londra aveva bisogno di costruire in Italia un regime po- litico funzionale alle proprie mire».

Su chi cadde la scelta?

«Su Mussolini, da subito efficace risorsa in chiave anti-giolittiana. Gli inglesi iniziarono a finanziare tutto: la nascita dei Fasci di Combattimento nel 1919, le successive attività delle squadre fasciste e, naturalmente, la marcia su Roma».

La marcia fu «favorita» dagli inglesi?

«I servizi inglesi ne assunsero la regia e l’ambasciata seguiva il suo svolgersi passo per passo. Un grande storico come Renzo De Felice l’aveva intuito ma non aveva le car- te dell’archivio di Hoare per documentarlo. Ma gli indizi c’erano. Winston Churchill, in visita a Roma nel 1927, affermò che, se fosse stato italiano, sarebbe stato fascista».

Arriviamo al 1924...

«Mussolini è al potere ma il regime non si è formato».

Ecco, facciamo entrare Matteotti.

«Proprio in quel periodo, con i laburisti al potere a Londra, Matteotti fece un viaggio in Inghilterra. Un viaggio segreto che però non sfuggì ai fascisti che lo seguirono. Da lì tornò con una serie di documenti molto delicati».

Di cosa si trattava?

«Delle prove delle tangenti milionarie prese dalla famiglia Mussolini, in particolare dal fratello Arnaldo, dagli americani della compagnia petrolifera Sinclair Oil per ottenere concessioni. Ma, probabilmente, c’era anche altro a cominciare da rapporti tra il Duce e i conservatori inglesi».

Aveva intenzione di rivelare tutto?

«Sì, lo avrebbe fatto in un discorso programmato per l’11 giugno. Vede, tutti si concentrano sul discorso del 30 maggio, per carità, straordinario, ma il colpo al fascismo sarebbe stato assestato nell’arringa successiva. Matteotti, ucciso il 10, non farà in tempo a pronunciarla».

Se l’avesse pronunciata cosa sarebbe successo?

«Il fascismo avrebbe subito uno scossone tale da entrare in seria crisi. Gli inglesi, dopo tutto quello che avevano fatto per portare Mussolini al potere, potevano forse permettere al capo dell’opposizione di far saltare tutto?».

Domanda inevitabile: sono stati gli inglesi? Mussolini si è a più riprese dichiarato innocente e anche alcuni suoi storici avversari, come Giolitti, gli credevano. Il duce potrebbe aver «subito» una decisione di Londra?

«Preferisco non fare ipotesi. Mettiamola così: che Mussolini non sapesse nulla di ciò che stava accadendo è impossibile ma che non fosse il solo responsabile è probabile. Fu un delitto a mezzadria su cui confluirono due interessi: uno interno di Mussolini e uno esterno degli inglesi».

Chiudiamo su chi si macchiò materialmente del delitto: Amerigo Dumini.

«Un killer e uno spione di professione, collegato ai servizi inglesi. Fu lui a impossessarsi dei documenti di Matteotti, mai saltati fuori, che uti- lizzò per ricattare Mussolini e farsi mantenere. Non lavorò nemmeno un giorno in vita sua».

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