Caporalato

«Paola Clemente è morta di fatica», il processo d'appello. L'accusa: l'imprenditore va condannato

ALESSANDRA CANNETIELLO

La bracciante deceduta il 13 luglio 2015 ad Andria. In udienza la tesi della Procura generale: con un intervento tempestivo poteva salvarsi

Anche se fossero state minime le possibilità di salvarsi, intervenendo tempestivamente e con le giuste procedure di soccorso, Paola Clemente avrebbe potuto sopravvivere. È quanto, in estrema sintesi, ha sostenuto dinanzi ai giudici della Corte d’appello il sostituto procuratore generale Francesco Bretone nella requisitoria con cui ha chiesto la riforma della sentenza di assoluzione del primo grado e dunque la condanna dell’imprenditore agricolo Luigi Terrone, accusato di omicidio colposo per la morte della bracciante tarantina Paola Clemente, deceduta a 49 anni a causa di un infarto, il 13 luglio 2015, in un vigneto di Andria dove stava lavorando.

Al termine della discussione Bretone ha depositato alcune sentenze di casi giudiziari simili: la tesi dell’accusa è che non essendosi trattato di un infarto fulminante, anche considerate eventuali chance minime di sopravvivenza, l’evento morte si sarebbe potuto scongiurare con il giusto tempismo e i corretti interventi.

Secondo il sostituto pg, quel giorno di 10 anni fa, furono diverse le variabili che portarono al decesso della donna: la mancata attivazione di una sorveglianza sanitaria preventiva, anche in considerazione dell’attività svolta dalla Clemente (con visite mediche predisposte per soggetti affetti da patologie come quella della 49enne). E ancora l’assenza di procedure di primo soccorso adeguate e l’assenza di formazione specifica da parte del personale impiegato nell’azienda agricola, che viceversa avrebbe potuto riconoscere quei primi sintomi attivandosi velocemente. E infine il ritardo dell’ambulanza (giunta sul posto dopo 26 minuti)...

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