LA VICENDA
Azienda agricola pugliese sul lastrico, dopo trent’anni di contenzioso la Cedu dà l’ok al risarcimento
Oltre un milione di euro di contributi agli eredi di un imprenditore agricolo, all'epoca negati a causa di un errore di interpretazione della norma statale
Dopo trent’anni gli eredi di un imprenditore agricolo avranno il risarcimento di oltre un milione di euro per contributi negati all’epoca a causa di un errore di interpretazione della norma statale. Una vicenda tecnica che ha tenuto con il fiato sospeso una famiglia per decenni, rischiando di finire sul lastrico e di perdere tutto, fino a quando è stato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a chiudere la contesa: se lo Stato sbaglia - è in estrema sintesi il senso della decisione dei giudici di Strasburgo - in nessun caso gli effetti negativi possono ricadere sul privato e sui suoi beni. L’errore commesso dalle autorità pubbliche, cioè, anche se dichiarato «scusabile», non può tradursi in una interferenza nel pacifico godimento dei beni del privato e, quindi, in un danno per quest’ultimo.
La storia inizia nel 1994, quando il garante di una cooperativa agricola pugliese, aveva chiesto l’intervento dello Stato in forza in una legge appena approvata che prevedeva aiuti alle cooperative agricole dichiarate insolventi. Il Ministero rigettava l’istanza. Di qui un primo ricorso al Tar. Nel corso del giudizio l’imprenditore è morto e i suoi eredi non solo proseguivano il processo ma subivano le iniziative dei creditori che notificavano decreti ingiuntivi e iscrivevano ipoteche sui loro beni. Per evitare pignoramenti, le eredi erano costrette a pagare, versando circa un milione 150mila euro. Nel 2010, dopo 16 anni, il Tar accoglieva il ricorso dichiarando illegittimo il rigetto. Quindi la nuova richiesta al Ministero e di nuovo il «no» di Roma, perché la norma di riferimento stabiliva che lo Stato poteva farsi carico soltanto dei debiti ancora insoluti e che, essendo stati tali debiti pagati, la garanzia non era più possibile. Il Consiglio di Stato, nel 2016, ha condiviso questa linea, parlando di «errore scusabile», dovuto alla mancanza di chiarezza e all’ambiguità oggettiva della normativa di riferimento.
A questo punto le eredi, assistite dal professor Giuseppe Chiaia Noya e dall’avvocato Adriano Garofalo, hanno interpellato la Cedu che, qualche giorno fa, ha dato loro ragione, spiegando che il carattere scusabile di un errore non giustifica un’ingerenza nei diritti di proprietà. A maggior ragione se tale errore derivi da una mancanza di chiarezza della normativa applicabile, atteso che il requisito di legalità implica che le norme interne debbano essere sufficientemente accessibili, precise e prevedibili. Pertanto, considerata la durata di sedici anni del procedimento (dal 1994 al 2010), la decisione delle eredi di pagare i debiti della cooperativa era giustificata dal loro legittimo interesse a preservare i propri beni. Per questo «la Corte europea - spiegano i legali - ha riconosciuto il diritto alla restituzione di quanto lo Stato avrebbe dovuto versare se la garanzia fosse stata riconosciuta per tempo senza quelli errori causati dalla difficile interpretazione da parte del Ministero delle norme di riferimento».